Il calcio ha contribuito a forgiare le personalità e gli interessi di intere generazioni per più di un secolo, fino a diventare un movimento inscindibile della cultura europea e mondiale, nonché lo sport più seguito, con una stima di 4 miliardi di tifosi in tutto il mondo. Una storia longeva che, senza contare i numerosi precursori come il calcio fiorentino, nasce a Sheffield con la fondazione del primo club professionistico nel 1857 e il calcio diviene presto il passatempo principale della working class inglese, grazie alla sua semplicità e al suo divertimento garantito. Nei tre decenni successivi, la sua diffusione a livello internazionale è inarrestabile e lo rende lo sport di massa per eccellenza. Tutta questa premessa storica è fondamentale per inquadrare l’essenza di una passione che ha coinvolto miliardi di persone in tutto il mondo e che oggi, nel 2021, rischia di morire sotto i colpi della finanza sfrenata. Il progetto, messo in piedi dai grandi club europei e ufficializzato la scorsa notte tra lo scalpore generale, consiste nella creazione di una competizione ristretta ai club fondatori (Milan, Arsenal, Atletico Madrid, Chelsea, Barcellona, Inter, Juventus, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Real Madrid e Tottenham), con l’aggiunta di alcune squadre ammesse su invito degli stessi. Oltre alle tre italiane, sono proprio i sei maggiori club inglesi a scegliere di tradire una tradizione secolare, sviluppatasi nella loro stessa nazione, mentre Bayern Monaco, Borussia Dortmund, Psg e Porto hanno rifiutato con decisione di entrare in questo gruppo elitario. Tutto ciò verrà finanziato da Jp Morgan, come annunciato da un portavoce della banca statunitense, e saranno messi a disposizione 3,5 miliardi da dividere tra le società fondatrici “per supportare i loro pani di investimento infrastrutturale e per fronteggiare l’impatto della pandemia”.

“Sono un tifoso del Manchester United da 40 anni ma sono disgustato, in particolare dalla mia squadra e dal Liverpool. Voglio dire, il Liverpool è il club del “You’ll Never Walk Alone”, il “Fans Club” o il “The People’s Club”, e poi il Manchester United, è stato creato da gente nata e cresciuta attorno a Old Trafford più di 100 anni fa; non è accettabile che vogliano entrare in un torneo senza competizione, dal quale non puoi essere retrocesso. Dobbiamo rivedere il potere calcistico di questo paese partendo dai club che dominano e comandano la Premier League, compreso il mio club. Quello che stiamo vedendo è semplice avarizia, nient’altro. I proprietari dello United e del Liverpool, ma anche del City e del Chelsea sono degli impostori; non hanno niente a che vedere con il calcio in Inghilterra. Questo paese ha più di 150 anni di storia calcisticamente parlando, e coloro che devono essere protetti sono i tifosi di questi club che per decadi hanno tifato e supportato la loro squadra in qualsiasi situazione.”.

– Gary Neville

Fifa, Uefa e tutti gli enti nazionali si sono schierati contro questo progetto e ora si è pronti per una guerra che non porterà alcun vantaggio al movimento. Sicuramente tutto ciò deriva da scelte discutibili come l’attuazione del fair play finanziario, quando bastava forse imporre un tetto salariale e qualche altra riforma più razionale per contenere i costi, ma la direzione intrapresa da Florentino Perez e company non può essere giustificata da alcuni errori di gestione, seppur gravi, degli ultimi dieci anni: è vero che le grandi società non riescano più a garantire stipendi altisonanti ai top player e agli allenatori senza andare in perdita, ma lo scopo di questa operazione consiste nell’implementare la loro potenza economica. Non si sta parlando più di squadre di calcio, ma di multinazionali quotate in borsa che diventano indipendenti, con il solo obiettivo di aumentare i guadagni. Questa è la strada in cui si era imbattuto il calcio moderno già da tanto, ma oggi 19 aprile 2021 siamo arrivati al punto di non ritorno, in cui ne esce sconfitta anche l’ultima parvenza di competizione sportiva che era rimasta. Al momento Fifa e Uefa minacciano l’esclusione da tutti i campionati, da tutte le coppe e anche dai Mondiali ed Europei per i giocatori che militano nelle squadre in questione, e forse la linea dura è davvero l’unico modo per preservare il mondo del calcio, poiché la partecipazione di una Juventus, di un Milan e di un Inter miliardari nel campionato di Serie A significherebbe provocare un divario incolmabile con chiunque altro, e le imprese di squadre minori come l’Atalanta di Percassi, il Parma di Tanzi o il Leicester in Inghilterra non sarebbero più possibili. Si preannuncia una scissione clamorosa, ma la speranza è che qualcuna di queste squadre ritratti la sua posizione, mentre ogni ente, ogni governo e gran parte dell’opinione pubblica non ha dubbi nel disdegnare questa soluzione a favore dei soliti potenti, anche perché il concetto di sport rischia di perdere la sua identità basata da sempre sulla sana competizione. Non è solo una questione economica ma etica: si deve evitare a tutti i costi che lo sport più popolare si tramuti in mero entertainment elitario.

Ormai da più di un anno l’Italia si dimena tra aperture e chiusure, zone dal colore caldo a seconda dell’emergenza, polemiche di ogni tipo, governi che cadono e governi che nascono, senza che si riesca a vedere la tanto attesa luce al di là del tunnel. E mentre ci si impelaga in ritardi e disorganizzazioni sul fronte vaccino o ci si scandalizza per alcune scelte poco coerenti come l’apertura delle discoteche nella scorsa estate, esiste una categoria silenziosa di lavoratori che non è mai ripartita dall’inizio di questa pandemia: i lavoratori del mondo dello spettacolo. Non si parla dei grandi nomi della musica, del cinema o del teatro italiano che hanno abbastanza risparmi per sopravvivere a lungo, ma di tutti coloro che vivono dietro un palcoscenico, il muro portante di ogni spettacolo, stimato intorno ai 570 mila operatori di cui 250 mila addetti al settore dei live. Il 10 novembre Vincenzo Spera, il presidente di Assomusica, affermava in un’intervista su Open:

«La crisi è totale e i cali di fatturato si attestano in torno al 97% a fine estate. Ma con la chiusura prorogata a tutto il 2020, il calo sarà ancora più forte».

Sono passati 4 mesi dalla fine del 2020 e tutt’oggi poco è cambiato sul fronte legislativo, a parte un disegno di legge depositato in parlamento nel mese di gennaio dal senatore del Pd Francesco Verducci che si aggiungerebbe al Fus (Fondo Unico dello Spettacolo). Questa proposta si incarica di versare un reddito ai lavoratori nell’attesa di condizioni idonee per far ripartire l’industria. E per far ripartire l’industria? Nonostante i tanti scioperi di questa categoria continuino a susseguirsi, celebre l’episodio dei 500 bauli in Duomo a Milano nel novembre scorso, non c’è nessun segnale di riapertura al momento.

Le poche speranze vengono come sempre dall’estero: il 20 marzo si è tenuto il festival di Lowlands di Biddinghuizen in Olanda, a cui hanno partecipato 1500 spettatori. Tutti hanno dovuto sottoporsi a un test antigenico 48 ore prima dell’evento mentre sul posto sono stati fatti 150 tamponi a campione, con i 26 risultati positivi bloccati all’ingresso. Un esperimento analogo si è svolto al Palau di San Jordi di Barcellona, dove si è tenuto un concerto a cui hanno preso parte 5000 persone, dopo essersi sottoposte al test antigenico ed essere risultate negative. È sicuramente un punto di svolta, ma al quale bisogna dare continuità in attesa di progressi con la vaccinazione. Purtroppo però, se si analizza complessivamente la situazione in Italia, viene difficile credere che si possa dare seguito a questa svolta. I cinema, i teatri, come tutti gli altri luoghi di cultura, sono stati i primi a subire le restrizioni nella scorsa primavera, come se fossero i principali centri di contagio del virus e, durante tutti questi mesi, la ripartenza di un settore così ampio e importante non è mai stata considerata una priorità dai gestori della pandemia. Sicuramente la priorità assoluta è e deve essere la campagna vaccinale, e anche in questo campo i risultati non sono dei migliori (in conformità con l’intera Unione Europea), ma è possibile che non si prendano nemmeno in considerazione esperimenti del genere, a differenza di altri Stati per nulla covid-free? Il festival svoltosi in Olanda è divenuto attuabile grazie a una stretta collaborazione del governo olandese con gli operatori musicali in un’atmosfera colma di pragmatismo e voglia di ritornare alla normalità, mentre in Italia si ha l’ennesima dimostrazione di come la cultura venga demonizzata e considerata un bene trascurabile, non di prima necessità. Nulla di più distante dal vero. Non ci sarà mai una ripartenza della vita se l’arte non va di pari passo.

“L’arte non si può separare dalla vita. È l’espressione della più grande necessità della quale la vita è capace.”

Robert Henri