Ieri correva l’anniversario del crollo del Ponte Morandi. Oggi, Kabul è stata riconquistata, senza alcuna resistenza, né armata, né culturale, dai Talebani.
Due delle massime voci dell’Occidente ne hanno parlato: Draghi di Genova; Papa Francesco delle vicende afghane.
Però, la gravità che l’importanza degli oratori ha trasmesso alle parole non riesce a nasconderne la sostanziale vacuità; quella vacuità che rimane propria di ogni messaggio lontano dalle cose che accadono e vincolato all’esigenza di ne pas epater le bourgeois. Anzi, la mendacità; quella mendicità che nasconde dietro luoghi comuni la verità, perché troppo complicata per mere ricorrenze di memoria, in un mondo che non vuole sognare, ma non vuole neppure ricordare: vuole solo emozionarsi pochi minuti, senza profondità.
Draghi ha detto che lo stato ha tradito la fiducia.
Il papa che deve cessare il frastuono delle armi, per far trionfare il dialogo.
A Genova, però, lo Stato ha tradito la fiducia solo dopo il crollo, quando ha aiutato i privati che lo avevano causato, con parole, opere ed omissioni, a massimizzare la buonuscita, anziché condannarli a rifondere i danni. Il prima ed il perché non sono rimproverabili allo Stato: possono esserlo solo a chi ha pensato di guadagnare per guadagnare.
A Kabul, d’altronde, colpisce il silenzio, non il fragore, delle armi, anche solo culturali. E le anime belle, i cuori bianchi sanno bene anche loro che il dialogo presuppone non solo volontà di ascolto, ma anche plausibilità di argomenti, da entrambe le parti. Nel caso che occupa, invece, bisognerebbe invocare e sostenere la non negoziabilità di alcuni valori; il rifiuto di ogni dialogo con certe prepotenze.
Le parole pronunciate hanno l’effetto del placebo: danno la sensazione, ma solo la sensazione, di curare ferite. Ma quelle ferite presupporrebbero assai di più. A partire dalla verità e dalla chiarezza

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