Alla vigiglia del Gran Premio di Spagna, Valentino Rossi è intervenuto ai microfoni di alcuni media per parlare della sua voglia di continuare a guidare le moto. Inoltre, ha ribadito anche delle aneddoti sul suo futuro. Probabilmente lo si vedrà ancora sul asfalto, magari anche con il suo team VR46 che il prossimo anno sbarcherà nella Mondiale grazie al nuovo sponsor Saudi Aramco. Ecco le parole del motociclista marchigiano:

“Siamo contenti, è un bel progetto –  ha detto Valentino Rossi parlando dello sbarco in MotoGp del suo team VR46 grazie al nuovo sponsor arabo Aramco -. Il mio futuro? Io sono prima di tutto un pilota, poi bisognerà vedere cosa farò l’anno prossimo, molto dipenderà dai risultati. Se sarò pilota del team? Non lo escludiamo del tutto, ma sarà difficile”. “Riguardo le moto dobbiamo ancora fare chiarezza – ha concluso Rossi – abbiamo diverse opzioni tra cui Yamaha, Aprilia, Ducati, per ora siamo un po’ aperti a tutto”.

Tramonta nella notte il sogno dei presidenti di alcuni club calcistici di far nascere (e soprattutto stabilire) la Superlega. Ieri sera, le squadre inglesi che dovevano partecipare, hanno deciso di abbandonarla. Le scuse nei confronti dei tifosi sono arrivate solamente da parte dell’Arsenal. Ai microfoni della Reuters, il presidente della Juventus e della ECA, Andrea Agnelli, ha rilasciato le seguenti parole:

“Voglio essere franco ed onesto, non penso che il progetto possa continuare con 5 o 6 squadre – ha spiegato il vicepresidente della Superlega -. Non parlerei tanto di dove è andato quel progetto, piuttosto del fatto che resto convinto della sua bellezza”. Il presidente della Juventus si è detto convinto “del valore che si sarebbe sviluppato a piramide, della creazione della più bella competizione al mondo”, per poi lasciare spazio a considerazioni sulla fine del progetto: “Evidentemente non sarà così, voglio dire che non credo che il progetto possa andare ancora avanti”.

Dalla Spagna arriva invece la conferma dell’Atletico Madrid di aver salutato ugualmente il nuovo progetto: “Il Consiglio d’amministrazione dell’Atletico Madrid, riunitosi questo mercoledì mattina, ha deciso di comunicare alla Superlega e al resto dei club fondatori la propria decisione di non ufficializzare definitivamente la propria adesione al progetto. L’Atletico Madrid, ha deciso lunedì scorso di aderire a questo progetto in risposta a circostanze che oggi non esistono più. Per il club è essenziale l’armonia tra tutti i gruppi che compongono la famiglia biancorossa, soprattutto i nostri tifosi. La rosa della prima squadra e il suo allenatore hanno mostrato la loro soddisfazione per la decisione del club, consapevoli che i meriti sportivi devono prevalere su ogni altro criterio”.

Dal punto di vista di John W. Henry, patron americano del Liverpool, sono i tifosi che sono stati trattati più ingiustamente, come ha spiegato a traverso un videomessaggio. Insomma, da qualsiasi parte le proteste sono state visibili e anche giustificate. Dall’Italia si espone l’Inter tramite un comunicato ufficiale: “Il progetto della Superlega allo stato attuale non è più ritenuto di nostro interesse” avevano spiegato fonti nerazzurre all’Ansa già alla fine della riunione d’urgenza dei 12 club fondatori del progetto.

Il cosiddetto “Clasico” non è una partita di calcio come tutte le altre. Si affrontano le due squadre più gloriose della Spagna che anche a livello mondiale fanno parte delle superiori. Il duello tra Real Madrid e FC Barcellona è storia, è tradizione – pur non essendo un derby cittadino. Oggi, alle ore 21.00 sarà tutto pronto per la 182° edizione del match odierno.

Qualcosa che raramente si vede nel calcio spagnolo: nessuno dei due club disputerà la partita di stasera da primo in classifica. Sia il Real che il Barca sono dietro all’Atletico Madrid che però potrebbe perdere il primato in caso di una vittoria del Barca e un mancato successo domani contro il Betis Sevilla. Attualmente, i biancorossi sono in vetta con 66 punti. Seguono i blaugrana con 65 e i “Blancos” con 63 – più eccitante di così?

Il turno d’andata lo ha deciso addirittura il Real a suo favore con 3:1 in casa di Lionel Messi (che ovviamente scenderà da titolare in campo). Vincendo anche oggi, la corsa verso il titolo di campione di Spagna resterà aperto.

Ormai da più di un anno l’Italia si dimena tra aperture e chiusure, zone dal colore caldo a seconda dell’emergenza, polemiche di ogni tipo, governi che cadono e governi che nascono, senza che si riesca a vedere la tanto attesa luce al di là del tunnel. E mentre ci si impelaga in ritardi e disorganizzazioni sul fronte vaccino o ci si scandalizza per alcune scelte poco coerenti come l’apertura delle discoteche nella scorsa estate, esiste una categoria silenziosa di lavoratori che non è mai ripartita dall’inizio di questa pandemia: i lavoratori del mondo dello spettacolo. Non si parla dei grandi nomi della musica, del cinema o del teatro italiano che hanno abbastanza risparmi per sopravvivere a lungo, ma di tutti coloro che vivono dietro un palcoscenico, il muro portante di ogni spettacolo, stimato intorno ai 570 mila operatori di cui 250 mila addetti al settore dei live. Il 10 novembre Vincenzo Spera, il presidente di Assomusica, affermava in un’intervista su Open:

«La crisi è totale e i cali di fatturato si attestano in torno al 97% a fine estate. Ma con la chiusura prorogata a tutto il 2020, il calo sarà ancora più forte».

Sono passati 4 mesi dalla fine del 2020 e tutt’oggi poco è cambiato sul fronte legislativo, a parte un disegno di legge depositato in parlamento nel mese di gennaio dal senatore del Pd Francesco Verducci che si aggiungerebbe al Fus (Fondo Unico dello Spettacolo). Questa proposta si incarica di versare un reddito ai lavoratori nell’attesa di condizioni idonee per far ripartire l’industria. E per far ripartire l’industria? Nonostante i tanti scioperi di questa categoria continuino a susseguirsi, celebre l’episodio dei 500 bauli in Duomo a Milano nel novembre scorso, non c’è nessun segnale di riapertura al momento.

Le poche speranze vengono come sempre dall’estero: il 20 marzo si è tenuto il festival di Lowlands di Biddinghuizen in Olanda, a cui hanno partecipato 1500 spettatori. Tutti hanno dovuto sottoporsi a un test antigenico 48 ore prima dell’evento mentre sul posto sono stati fatti 150 tamponi a campione, con i 26 risultati positivi bloccati all’ingresso. Un esperimento analogo si è svolto al Palau di San Jordi di Barcellona, dove si è tenuto un concerto a cui hanno preso parte 5000 persone, dopo essersi sottoposte al test antigenico ed essere risultate negative. È sicuramente un punto di svolta, ma al quale bisogna dare continuità in attesa di progressi con la vaccinazione. Purtroppo però, se si analizza complessivamente la situazione in Italia, viene difficile credere che si possa dare seguito a questa svolta. I cinema, i teatri, come tutti gli altri luoghi di cultura, sono stati i primi a subire le restrizioni nella scorsa primavera, come se fossero i principali centri di contagio del virus e, durante tutti questi mesi, la ripartenza di un settore così ampio e importante non è mai stata considerata una priorità dai gestori della pandemia. Sicuramente la priorità assoluta è e deve essere la campagna vaccinale, e anche in questo campo i risultati non sono dei migliori (in conformità con l’intera Unione Europea), ma è possibile che non si prendano nemmeno in considerazione esperimenti del genere, a differenza di altri Stati per nulla covid-free? Il festival svoltosi in Olanda è divenuto attuabile grazie a una stretta collaborazione del governo olandese con gli operatori musicali in un’atmosfera colma di pragmatismo e voglia di ritornare alla normalità, mentre in Italia si ha l’ennesima dimostrazione di come la cultura venga demonizzata e considerata un bene trascurabile, non di prima necessità. Nulla di più distante dal vero. Non ci sarà mai una ripartenza della vita se l’arte non va di pari passo.

“L’arte non si può separare dalla vita. È l’espressione della più grande necessità della quale la vita è capace.”

Robert Henri