Le macro-cose andranno come possono andare. È complicato anche volersene preoccupare, in fondo, perché un poco non si sanno; un poco abbiamo vinto gli Europei; un poco facciamo affidamento per il futuro a due coppie di vecchi affidabili (Draghi/Mattarella e Chiellini/Bonucci), che ci hanno fatto financo riscoprire l’opportunità di aver studiato. E si sa, che chi caca dubbi senza compagnia, non è figlio di maria, non è figlio di Gesù e quando muore va laggiù. Donc, aspettiamo e vediamo.
D’altra parte, i vari menestrelli della politica hanno subito pronto l’antidoto per l’ansia latente per i contagi che risalgono in estate, senza che sia minimamente colpa del governo, questa volta; e anche per quella ancor più forte di trovarsi a breve con un sistema giustizia con tutti i problemi di prima, ma dotato di una coorte intorno ai giudici civili, per alleviarli dell’improbo compito di studiare i processi, e di processi penali in cui il senso di un istituto antico e liberale, come la prescrizione, già traviato da Cirelli, sarà definitivamente tradito da decadenze processuali che varranno a trasformare il nostro nel Bengodi dei delinquenti danarosi.
Guardare questi giullari all’opera, in effetti, conforta alquanto e dà certezza che forse finiremo male, ma sicuramente con il sorriso sulle labbra e senza preoccupazione che la dignità ed il decoro possano schiacciarci con la loro pesantezza e saremo dunque liberi di galleggiare nello stagno lutulento dei nostri mali.
Funziona, in effetti, come le telenovelas di Veronica Castro e si possono perdere puntate piene di colpi di scena, senza perdere il senso complessivo della trama.
Proviamo però a fare il riassunto.
Letta vuole Conte. Il loro è un amore che appare sincero, rinforzato dal comune odio per chi li ha, un tempo, sedotti (o, per Letta, sedati) e abbandonati: i due Matteo, entrambi pasciuti di panze da latrin lover latini. Eppure, non riescono a convolare a giuste nozze. Anzi, il vescovo che avrebbe dovuto celebrarne il matrimonio gli ha ficcato nel talama tutta l’allegra famiglia, impedendo la consumazione dell’impegno coniugale.
Anche le rispettive famiglie fanno storie… Babbo Grillo vorrebbe addirittura lo ius primae noctis, forse solo per far sapere al mondo che quello che esercita il figlio, con eccessiva leggerezza, anche documentale, non è reato.
E i Matteo, nel frattempo, birichineggiano… Uno, quello fiorentino, fa il dodda, andando assai oltre il Dalema dileggiato da Moretti e dicendo cose assai di destra; mostrandosi in vacanze da nababbo con le mutandone a righe; scrivendo libri da ex, che conoscendo il personaggio servono solo a dire – a chi sicuramente ci sarà – che lui, pur senza elettori, ha il potere di sapere ciò che non fa comodo che si sappia e che è disposto a dirlo, dandone prova a danno proprio del povero Conte, del quale il Matteo è sicuro dell’assenza futura. L’altro, quello longobardo, mostra di aver imparato dal suocero, che gli sgambetti si fanno agli amici, perché i nemici ci pensano da sé, e che val più la certezza di dare le carte, che l’euforia di potere di qualche transeunte sbornia elettorale.
Ma Giuseppe ed Enrico si amano.
Enrico è timorato di dio; Giuseppe è disponibile (o così dice) a sfidare anche il vescovo… entrambi però sanno che se non si sposeranno velocemente, altre coppie verranno invitate da Maria la Sanguinaria e dalla D’Urso.
Ma qui si aspetta la Provvidenza.

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