Più del 50% ha completato le due dosi di vaccinazioni ed ci si avvia al tanto ormai sperato 80/90% di popolazione completamente vaccinata. C’è comunque – ancora – la solita notizia che circola in rete: i vaccinati si ammalano con la stessa frequenza dei non vaccinati. Sempre e comunque perché chi fa questi calcoli usa la matematica casalinga e non le percentuali oppure – in generale – un approccio matematico.

Più aumentano i vaccinati più aumenteranno i rari casi di contagiati e malati anche tra chi è vaccinato: fino potenzialmente a superare in termini assoluti quelli tra la popolazione che non si è vaccinata. Ma considerando i valori percentuali, è evidente quanto siano enormemente più limitati gli effetti del coronavirus tra chi è completamente vaccinato, rispetto a chi ha ricevuto una sola dose o nessuna.

Un vaccino non protegge mai tutti gli individui che vengono vaccinati, circostanza che si applica anche agli attuali vaccini contro il coronavirus. Dalle analisi dell’ISS, sappiamo che i completamente vaccinati sono protetti all’88 per cento dall’infezione, al 94 per cento dal ricovero in ospedale, al 97 per cento dal ricovero in terapia intensiva per sintomi gravi e al 96 per cento dal decesso per COVID-19.

Date queste circostanze, ci si può quindi attendere che tra le persone vaccinate ci siano alcuni casi di infezione, ricovero e decesso. La quantità di casi è però estremamente più bassa – in percentuale – rispetto a ciò che avviene tra gli individui non vaccinati.

Man mano che le persone vaccinate aumentano, si riduce la quantità dei casi tra la popolazione proprio per l’efficacia della vaccinazione. Si può arrivare a un punto in cui i rari casi tra i vaccinati sono in termini assoluti più numerosi rispetto a quelli tra i non vaccinati.

Se l’intera popolazione fosse vaccinata, i casi rilevati sarebbero solo tra persone vaccinate, ma sarebbero comunque pochissimi e molti meno di quanti se ne riscontrerebbero in totale assenza del vaccino.

In uno scenario in cui 85 sono vaccinate e 15 no, è possibile che in termini assoluti ci siano più contagi tra il primo gruppo, semplicemente perché è molto più numeroso del secondo. Considerando le percentuali, però, il dato assume tutto un altro significato: l’ISS ha stimato che il rapporto tra il numero dei casi e la popolazione è circa dieci volte più basso nei vaccinati rispetto ai non vaccinati.

Il paradosso dei vaccinati è noto da tempo a virologi ed epidemiologi, e come precisa l’ISS è importante che sia chiaro a tutti come valutarlo «per evitare preoccupazioni e perdita di fiducia nella vaccinazione».

La difficoltà nell’interpretare correttamente certe informazioni deriva anche dal fatto che attraverso la sorveglianza – con il sistema dei tamponi e dei test – si rendono evidenti i rari casi di persone che si ammalano malgrado si siano vaccinate, mentre restano totalmente sotto traccia i casi di malattia evitati grazie ai vaccini (e che sono la maggioranza).

Più è alta la percentuale di vaccinati, più la popolazione è protetta (anche tra i restanti non vaccinati) e si riduce il rischio che si formino nuove varianti. La loro comparsa è infatti legata alla circolazione del coronavirus e non alla vaccinazione, che invece riduce il rischio di avere nuove varianti contro le quali i vaccini stessi potrebbero poi essere meno efficaci.

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