Biden ha ordinato un bombardamento in Siria.
Sui social è scattato, allora, il riflesso alla santificazione di Trump, che in effetti bombe non ha fatto lanciare.
Il fatto che i paladini della destra conservatrice possano rimproverare alla sinistra arcobaleno la prossimità a leader guerrafondai non è, però, un paradosso, né il segno dell’avvento dell’apocalisse. E non è neanche, a mio modesto avviso, la prova che i populismi del mondo incarnano una spontaneità popolare ed umana, che i poteri forti (?) vogliono condizionare con retoriche finte, per soddisfare ambizioni di ultrapotere.
Vale piuttosto a ricordare a tutti, a destra e sinistra, a intellettuali e dursisti, alcune regole semplici e di buon senso, che sono state dimenticate da un mondo troppo abituato al sincretismo delle narrazioni di massa e consumistiche e sempre meno disponibile alla riflessione critica, ma che finiscono per imporsi con la loro evidenza.
La prima riguarda proprio l’uso della forza e di quella militare, in particolare: anche i sistemi democratici più avanzati e le società meglio organizzate si poggiano sull’assunto, spesso lasciato implicito, che la violazione delle regole comuni può legittimare una reazione violenta, da parte di chi si ritenga o sia legittimato a farle rispettare, che sia un soggetto individuale, investito di una qualche funzione di controllo, o un soggetto istituzionale, cui quelle funzioni sono delegate per volontà comune. Tanto più le regole sono accettate e condivise, tanto più l’assunto può essere relegato sullo sfondo. Non può essere tuttavia mai negato, né superato. Fino a prova contraria, insomma, costituisce un assioma di tutte le costruzioni sociali. Anche il mondo delle relazioni internazionali è un sistema di relazioni sociali.
Se si guarda da questa prospettiva, le scelte apparentemente pacifiste di Trump e quelle apparentemente guerrafondaie di Biden cessano di avere quel vestito, che è solo retorico, e ne assumono uno più realistico. Trump ha voluto che gli USA smettessero di svolgere il ruolo di poliziotto del mondo, che hanno assunto fino alla sua elezione. Biden vuole far “ritornare l’America”. Si può discutere se sia giusto oppure non che gli USA svolgano quel ruolo; al limite, se ci convenga oppure non e che alternative ci siano, ma le categorie guerra cattiva/pace buona sono inadatte a leggere il tema. Servono solo a una narrazione da politicamente corretto, che equivale a politicamente inutile.
Personalmente, visto che in assenza di poliziotti può instaurarsi una tendenza anarcoide di tipo violento, che a livello di relazioni internazionali vuol dire rischio di focolai di guerra vera in alcune parti del mondo, con alterazioni anche dei flussi migratori non controllabili; considerato che gli altri concorrenti al ruolo di poliziotti mi danno minori rassicurazioni, mi auguro che – fino all’avvento di un nuovo e radioso ordine mondiale – gli USA continuino a fare qualcosa, piuttosto che guardare al loro orticello.
L’altra regola che la vicenda siriana di ieri ricorda è che fenomeni complessi non possono essere letti semplicisticamente e, quindi, monocularmente.
Trump non può essere considerato buono o cattivo solo perché non ha fatto le guerre. Il fenomeno Trump, che le vicende post 6 gennaio dimostrano non riducibile alla psichiatria del suo promotore, è un fenomeno complesso: incarna la tentazione delle società ricche di replicare, a livello di massa, l’atteggiamento che i loro esponenti di punta hanno assunto, a livello individuale, da ormai due generazioni (Lasch) e che si concretizza in una progressiva chiusura in ambienti ristretti e controllati, distaccati dal resto del mondo, se non per cordoni ombelicali di aspirazione di ricchezze, e regolati da regole sociali e principi molto selettivi e di auto-conservazione. È inevitabile che questa tentazione si volgarizzi, nelle forme, al diffondersi. Insomma, che appaia come populismo razzista a livello di massa quello che nei salotti buoni è snobismo ed eleganza. È altresì inevitabile che proprio le punte più avanzate della società, quelle che hanno sublimato a livello personale il fenomeno, lo stigmatizzino come inaccettabile, anche culturalmente, quando lo vedono replicarsi in grandi numeri e che questa stigmatizzazione venga percepita come inaccettabile ed offensiva da chi non capisce perché il milionario può rinchiudersi nel suo parco circondato da pareti inaccessibili e il proprio paese non possa farlo, in un momento di solidarietà nazionale.
Il piano sul quale valutare la bontà/cattiveria di Trump come fenomeno politico (almeno uno di quelli sul quale valutarla) è, però, questo.
E con l’avvertenza che qualunque decisione si voglia prendere su questo piano, non incide sulla valutazione, comunque negativa, delle modalità con le quali ha usato la bugia e la violenza anti-istituzionale come strumenti di politica in ambito democratico.
Personalmente, ritengo che, quella tendenza che Trump incarna, sempre pericolosa, possa essere letale per l’intera umanità, in un momento in cui si assiste al verificarsi di due fenomeni incontrollati: la progressiva concentrazione di ricchezza solo finanziaria, talvolta anche extra-statuale (vedasi cripto valute), in pochissime mani, da una parte; il fiorire di forme di intelligenza artificiale che, ove non suscettibili di attribuire autonomia ai pc, potranno comunque essere utilizzate per creare ultra uomini (come lasciano temere gli esperimenti sempre troppo poco verificati nelle finalità effettive di Musk sui connettori cerebrali), dall’altra parte.
Ma la pericolosità non può essere né denunciata, né combattuta con analisi manichee e contrapposizioni da stadio.

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