Un anno fa iniziava il Covid. Possiamo dire che ci ha cambiato la vita molto di più di quello che avremmo mai potuto immaginare. Questa pandemia ha svolto la funzione che in genere svolgevano le guerre. In termini marxiani sta svolgendo egregiamente il compito di affrontare in modo storico la irrisolvibile contraddizione capitale-forza lavoro. Il neo-capitalismo ha pensato di risolvere questa contraddizione tramite un capitalismo finanziario che ha creato troppa ricchezza e la pandemia sta chiedendo il suo tributo, facendo evaporare il nostro benessere. Stiamo perciò atterriti perché assistiamo alla distruzione di ricchezze, alla distruzione di paradigmi, alla distruzione di vite, non tanto e non solo a livello fisico ma soprattutto a livello interiore. Ci si sente fuori posto, di fronte a una sfida che ci fa paura.

Ho 61 anni, un’età che la generazione precedente considerava da pensione, ma adesso ho ancora quasi 10 anni di lavoro di fronte a me. Il mio lavoro principale, il prof. universitario, andrà in conto a una trasformazione epocale. L’Università (e la Scuola) così non servono. Abbiamo un’accademia autoreferente che si autoesalta in modo arrogante, del tutto inutile sia al Paese che per i nostri studenti. Le proposte alternative basate su una logica aziendalista, riescono ad essere perfino peggiori. Questa Università infatti è sostanzialmente poco utile, un’Università aziendalista è potenzialmente dannosa. Ho capito che quello che Jep Gambardella aveva intuito a 65 anni, vale anche per me a 61: “La più consistente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto 65 anni è che non mi va più di perdere tempo a fare cose che non mi va più di fare”. Fare ricerca competitiva in Matematica all’età di 60 anni è come pensare di giocare in serie A a 50 anni. In generale una pena per sé e per gli altri oltre che una pia illusione. Posso fare però altre cose: avere studenti di Dottorato, scrivere libri di divulgazione, collaborare con altre discipline, studiare Dante, insegnare a Master universitari, dedicarsi a fare “vera” matematica industriale, interessarsi alla politica, vedere come si quota un’azienda a Londra. Insomma il post-Covid mi sta costingendo a una rivoluzione copernicana.

Ma il Covid ha reso obsoleti modelli di sviluppo che pensavamo immutabili non solo a livello personale ma anche a livello locale e nazionale. Ad esempio il modello di sviluppo del centro di Firenze seguito prima della pandemia presentava forti analogie a quello (fallimentare) della Milano da bere. Il centro, negli ultimi 20 anni, si é spopolato di residenti ed è stato adibito alla movida di turisti con un alto grado alcoolico nel sangue, insomma un parco giochi ricco di pub e ristoranti etnici dove la grande bellezza e la grande storia della città erano una cornice insignificante degli schiamazzi notturni. Con la pandemia il centro è ridotto a una ghost-city, una serie di saracinesche abbassate, zero turisti, un po’ di tossici, qualche homeless che dorme sotto i portici. E’ ovvio che Firenze dovrà cambiare politica: meno kebab, pub e bed&breakfast e più librerie, parcheggi riservati e negozi di alimentari per rendere possibile la vita ai residenti.

La stessa cosa riguarda la politica nazionale. La pandemia ha cambiato tutto. Il modello fino ad adesso seguito era gerontocratico. Tanti anziani con ottime pensioni (molto più ricche di quanto meritassero per i contributi effettivamente versati), pochi giovani e tra l’altro pochissimo qualificati. I giovani qualificati che pure produciamo non rimangono in Italia a causa di stipendi ridicoli e dell’eccessivo precariato. Registriamo un flusso incontrollato di migranti in genere scarsamente qualificati (per usare un eufemismo) che non servono per una società basata sulla conoscenza come quella attuale. Questo modello non potrà reggere alla post- pandemia. L’utilizzo di sistemi esperti e di robot cancellerà tantissimi lavori poco qualificati. Creerà invece tanti posti di lavoro per personale qualificato (che produciamo poco e tratteniamo punto). I lavori rimasti a basso livello di qualificazione saranno contesi ferocemente fra Italiani e Migranti. Moltissime persone, poco qualificate, saranno espulse dal mondo lavorativo a 50 anni: troppo anziane per trovare un nuovo lavoro e troppo giovani per aspirare ad una pensione. Sarà una sfida dura ed impegnativa uscire da questo cul de sac. Sia per gli Italiani e per la classe politica che dovrà reinventarsi perché quella attuale, nel suo complesso, non sembra in grado di affrontare con successo questa sfida. Non hanno saputo affrontare la pandemia, figuriamoci il post-covid che sarà molto ma molto più duro. Come diceva il grande Belushi, quando il gioco si fa duro, i duri devono iniziare a giocare. Perciò, volenti o nolenti, per continuare a giocare, per continuare a svolgere un ruolo, dobbiamo imparare ad essere duri. La pandemia è stata come l’introduzione di una safety car. La corsa si è fermata e le distanze sono state azzerate. Tra poco ci sarà la luce verde, abbiamo cambiato driver e messo, ragionevolmente, il migliore che potevamo scegliere. Riusciremo a non perdere troppe posizioni e a rimanere far i paesi avanzati? Questa è la sfida che abbiamo davanti, sia come singoli che come Nazione. Saremo in grado di vincerla?

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