Le parole della ministro Cartabia di ieri e il suo operare di queste settimane meritano plauso, applausi e sostegno incondizionato.
Agisce senza strepiti, con l’umiltà di chi non pretende di intestarsi alcun merito personale, ma sa di poter fare riferimento alla maturità della riflessione accademica come cosa propria.
Eppure sta costruendo, tassello dopo tassello, una riforma della giustizia e, pare, anche dell’ordinamento giudiziario ispirata a logiche condivisibili, di stimolo all’efficienza del sistema, ma fortemente permeato dai principi costituzionali, di garanzia del contraddittorio e della indipendenza dei magistrati e di tutela dell’imputato.
E lo sta facendo in un paese in cui garantismo e tutela dello stato di diritto sembrano semplici armi linguistiche, che una élite intellettualoide usa contro qualcuno dei propri membri, quando qualche altro sodale viene coinvolto in vicende scabrose; in un paese in cui alcuni magistrati credono di esercitare non più una funzione che esprime un potere dello stato, ma un potere personale o di gruppo; in un paese in cui le storture del funzionamento del sistema giustizia non hanno finora aiutato a chiedere riforme serie, ma solo a far sperare in qualche vendetta contro pubblici ministeri forse troppo aggressivi, forse troppo avvezzi a logiche consortili.
Sicuramente ci saranno profili opinabili nella riforma che verrà.
Ma almeno si comincia.
Forza ministro Cartabia.

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