Se non ho mal capito, l’Europa è in ritardo nella campagna vaccinale perché i suoi solerti rappresentanti hanno pensato bene di gestire la negoziazione con le big pharma con le logiche con le quali si dovrebbe acquistare la cancelleria per le pubbliche amministrazioni in regime di ordinaria gestione: risparmiando sul prezzo e senza eccedere in prenotazioni.
Ora, invece, sbranano i brandelli di produzione, litigandosi i lotti che sono loro destinati come le iene fanno con la preda (altrui).
Uniche eccezioni Germania e Danimarca, che non riescono peraltro a lanciare la loro campagna, per limiti organizzativi che non sanno superare e, forse, per la crisi di leadership della Merkel.
L’Europa è sempre più marginale nello scacchiere mondiale: conserva ancora enormi ricchezze, che si assottigliano, però, perché gestite senza prospettiva e con lo sguardo rivolto all’indietro o, forse peggio, con quello tristo dell’avaro che teme che la sua roba si consumi, ma per quello non la usa e così le fa perdere valore.
In questo contesto, l’Italia svetta, piegata su sé stessa, sbattuta dalle polemiche e dalle faide tra bande, comandata da una classe dirigente che non sa mettere in discussione i privilegi che ha accumulato e, per questo, per tutelarli, pretende spesso che, nel mondo del lavoro, come in quello della giustizia, nel sistema fiscale come in quello previdenziale, vengano ridotte ulteriormente le tutele, che si spacciano per costi e che, invece, ben comprese, sarebbero benzina nel motore della crescita, che presuppone sempre il funzionamento delle regole e degli ascensori sociali.
Purtroppo, però, non se ne può parlare, perché chi dovrebbe farlo è egli stesso portatori di privilegi, che possono e devono essere nascosti sotto lo strepito del luogo comune.
Luogo comune che sta del resto diventando la clava con la quale viene ottuso il buon senso, il senso critico, addirittura semplicemente il senso delle cose.

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