Continua la nostra intervista al Gruppo Diddi.
Giorgio Diddi, l’imprenditore toscano – di Prato – che riesce a perseguire un modello di economia eco-sostenibile nella filiera industriale di cui si occupa: la filiera moda. Dopo la prima intervista in cui abbiamo parlato discusso del fenomeno ‘Green Economy‘ (vedi qui nel dettaglio), ecco le domande che abbiamo voluto porgli riguardo alla sua azienda. Di seguito la video intervista pubblicata sul nostro canale Youtube ‘Koros Magazine‘:

“Lei ha fatto della ‘Green Economy’ un suo marchio di fabbrica, ma ci parli un po’ della sua azienda.”

“La nostra azienda fa servizi al sistema moda, come la tintura del tessuto dei capi finiti, la rifinizione del capo finale. Ho avuto più esperienze lavorative e più attività durante la mia carriera e ad un certo punto ho avuto l’intuizione di unire tre realtà che conoscevo in termini lavorativi: la tintoria-lavanderia, la confezione e la rifinizione, ovvero il controllo qualità, logistica e spedizione del capo. Integrando queste tre strutture in una, sono riuscito ad arrivare dal trattamento del capo fino ad un passo dal consumatore finale: io arrivo nel negozio con la scatola in mano, prima che il consumatore finale vada a comprare.”

“Per affermare che il Gruppo Diddi sia un’azienda che opera di Green Economy, ha ricevuto una certificazione.”

“Si, abbiamo cercato di restare sempre concentrati sull’argomento, provando a far si che l’azienda abbia una coscienza rSi, abbiamo cercato di restare sempre concentrati sull’argomento, provando a far si che l’azienda abbia una coscienza riguardo a questo argomento, ovvero l’impatto ambientale. Non da tanto abbiamo ricevuto questa certificazione, che verifica il lavoro da parte dell’azienda svolto tramite determinati tipi di processi, con determinati tipi di prodotti. E’ soltanto uno degli obiettivi che ci siamo prefissati e si tratta della certificazione GOTS, una certificazione ambitissima nel sistema moda. E’ stato un risultato ottenuto dopo tanto lavoro, ma soltanto uno degli obiettivi. Ora stiamo lavorando alla creazione di un bilancio sull’impatto ambientale, per riuscire a rendere alla natura un qualcosa in termini pratici. Un punto di questo bilancio valuta addirittura quanta Co2 abbiamo consumato. Successivamente, cerco di riassumere, diamo mandato ad un’impresa che va in un bosco a piantare x alberi in modo da ridurre a 0 l’impatto della Co2 consumata. Miriamo ad avere il bilancio della Green Economy.

“C’è stato un motivo o più motivi che l’hanno spinta ad operare in Green Economy?

“Il motivo più importante è quello della coscienza. E’ giusto lo sviluppo, è giusto crescere, ma ci vuole un ideale più grande. Il motivo che è stato benzina per il motore di questo mio percorso è stato questo. Ho due nipoti che amo tantissimo e ogni volta che intraprendo un nuovo percorso, che parto con un nuovo progetto, mi chiedo sempre: ‘questa cosa crea valore? E questo valore lo posso lasciare come eredità di insegnamento ai miei nipoti?’

“Ora una domanda più tecnica: quali sono le strategie attuate nella moda in Green Economy?”

“Sono tante, la filiera moda ha tante fasi: la produzione del filo, del tessuto, taglio del tessuto e confezione, fino ad arrivare al capo. Poi ci sono gli accessori e i ricami, quindi ci sono tantissime fasi e tantissimi trattamenti. Molti di questi ce li abbiamo integrati, ma non tutti. Sarebbe complesso andare a spiegare nel dettaglio le cose adottate, anche perché tante di queste vengono adottate grazie alla supervisione di organi che svolgono queste verifiche e che forniscono queste indicazioni. Nel caso più importante della nostra filiera, ovvero i prodotti chimici ed il consumo di energia, vengono adottati processi e prodotti diversi, che costano di più, ma che dispongono, da parte di enti competenti, di una certificazione di minore impatto ambientale.”

“In questo periodo tutte le aziende stanno incontrando tantissime difficoltà a causa della pandemia, la sua fa eccezione?

“Non fa eccezione, ci ha colpito. Ci rivolgiamo ad entrambi i settori del sistema moda, ovvero quello del prodotto low-cost e quello del lusso. In base a ciò che ho visto posso dire che i grossi gruppi industriali della moda low-cost hanno avuto pochi problemi, mentre i grandi gruppi della moda del lusso ancora meno, perché non si sono mai fermati, perché hanno lavorato anche in lockdown con gli acquisti online, registrando anche dei + a livello percentuale. Quelli che hanno sofferto rappresentano la via di mezzo: le strutture che fanno prodotti low-cost, ma sono più piccole. Ci hanno chiesto aiuto, per fortuna abbiamo un rapporto di sincerità, di complicità e di sinergia con tutti i nostri clienti e li abbiamo aiutati ben volentieri, calcolando bene i rischi perché comunque abbiamo grosse responsabilità. Noi abbiamo costruito due impianti, costituendo un nuovo ramo dove produciamo le mascherine chirurgiche con un’azienda chiamata D-Medical, ma anche questa produzione ha avuto un fermo improvviso, passando da una produzione di 150mila pezzi giornalieri a 0. Questo perché le mascherine vengono importate dalla Cina, mentre noi produciamo un prodotto certificato CE, che ha una serie di verifiche periodiche e quindi con costi diversi. Per noi aveva un doppio effetto: combattere l’emergenza e continuare ad impiegare i nostri addetti, per non perdere posti di lavoro. Il primo effetto lo abbiamo portato a casa, il secondo no, perché non siamo riusciti a coprire l’investimento con le vendite, infatti oggi l’investimento risulta avere una perdita importante, ma l’abbiamo fatto con il cuore. Per quanto riguarda il nostro core business ci siamo difesi, ma abbiamo comunque sentito il freno a mano dovuto al Covid.”

“Per concludere, i risultati ottenuti dalla sua azienda sono solo dei punti di partenza?”

“Assolutamente, per me i risultati raggiunti nella vita sono solo dei punti di partenza. I risultati in materia di Green Economy e di altri ambiti che fanno parte della nostra azienda sono sempre punti di partenza. Si può fare di più e noi ci promettiamo tutti i giorni di fare di più.”

Ringraziamo ancora una volta il signor Giorgio Diddi per averci concesso il suo tempo, augurando a lui e alla sua azienda un sereno e proficuo avvenire. Ecco il video della nostra intervista sul canale Youtube del Koros Magazine:

L’ambiente al primo posto. E’ questo il mantra di Giorgio Diddi, CEO del ‘Gruppo Diddi‘, un’azienda che si occupa della filiera della moda, con più di un occhio di riguardo alla sostenibilità e all’eco-friendly. Il Koros Magazine ha avuto il piacere di intervistarlo per parlare della ‘Green Economy‘, un modo di fare impresa che privilegia il rispetto per l’ambiente che ci circonda. Le sue parole ci hanno aiutato a comprendere a pieno questo nuovo approccio all’economia, di seguito ecco l’intervista completa:

“Domanda secca: Green Economy, di che cosa si tratta?”

La Green Economy fa in modo che la nostra economia prenda una coscienza diversa: è giusto fare business, ma è importante tenere conto dell’ambiente. E’ un dono che la natura ci ha fornito e bisogna tenerne conto. Non è altro che il nostro stesso mestiere, ma svolto con una coscienza propria, ovvero far si che le aziende agiscano in modo responsabile.”

“L’attività di Green Economy è nobile, perchè mette la sostenibilità al primo posto. Perché un’azienda deve essere interessata alla Green Economy, al netto del fattore sostenibilità?”

“Quando parlo con i miei collaboratori riguardo a questo, dico sempre una cosa: ‘la superficie dell’azienda in cui lavoriamo è nostra, ma la superficie su cui è poggiata la mia azienda non è mia, ma di tutti’. Dobbiamo fare il massimo per poter rendere alla natura ciò che lei ci dà. Io parlo sempre di coscienza, perché l’industria e tutte le filiere produttive devono avere un ideale più ampio. Troppo facile sarebbe lavorare per guadagnare il denaro. Bisogna lavorare per star bene nel posto in cui si lavora, con le persone con cui si collabora e con l’ambiente che ci ospita.

“Se i pro di questa attività sembrano scontati, le vengono in mente alcuni contro che questo approccio all’economia può presentare?”

Certo, ci sono diversi contro. Le prime cose che si vedono ad occhio nudo sono le tempistiche, la produttività e la spesa. Probabilmente col tempo tutto questo diventerà naturale e mi auguro che tutti abbiano la stessa coscienza sull’ambiente. Essendo una cosa nuova, dove le aziende industriali devono farsi spazio su abitudini e modi di fare diversi, è tutto molto più difficile. Si spende di più e si impiega più tempo per fare alcune cose ed è difficile farsi capire, soprattutto nei tempi di consegna e nei costi di uscita: prima si faceva un qualcosa ad una determinata cifra, ora ad un’altra cifra perché si lavora con una coscienza diversa. Il mercato del tessile si è diviso in bianco e nero: esiste il mercato del lusso e quello del low-cost. Quest’ultimo ha ancora le sue difficoltà, anche se noto tanto impegno di molte aziende che sono mie clienti. Il mercato del lusso, invece l’ha capita subito questa cosa. L’ha abbracciata con tutto sè stesso e sapere che il prodotto è fatto in un certo modo, ovvero ecosostenibile, fa ancora più lusso. Accetta di più le tempistiche di attesa, nonostante sia un tasto dolente nel mondo della moda, e il maggior costo. Per rispondere alla domanda i contro sono essenzialmente tempi e costi.

“Parlando di Green Economy, secondo lei lo stato Italiano tutela a sufficienza le aziende che operano in questo settore?”

Uso sempre dire una cosa: ci sono diverse scuole di pensiero, ognuno ha la sua idea politica, compreso me, ma dico sempre che governare un paese è qualcosa di difficilissimo. Benché io manterrei la mia estrazione, anche io avrei tante difficoltà, anche io necessiterei di fedeli collaboratori se fossi io a governare. Per questo non mi sento di dire nel dettaglio cosa si deve fare ma soprattutto di criticare ciò che viene fatto. Sicuramente ci sono delle mancanze, è una cosa nuova, deve prendere campo e avrebbe bisogno di più attenzione e di più aiuto. Sarebbe un grande aiuto per noi avere dei rimborsi o di avere delle agevolazioni in virtù dei maggiori costi a cui dobbiamo far fronte. Sicuramente ci sono dei passi in più da fare.”

“L’Italia è un paese che tende sempre a sottostimarsi e la Green Economy non fa eccezione. Una ricerca del ‘Dual Citizen’ di Washington ha dedotto che l’Italia è il paese che più si sottostima rispetto agli altri paesi europei in materia di Green Economy, infatti ha una percezione delle sue performance minori rispetto ai risultati effettivi ottenuti, come se lo spiega?”

“In realtà non me lo spiego e me ne rendo conto perché la tocco con mano ogni giorno. Proprio per quello che dicevo prima, esiste, nel settore moda, la parte del lusso che fa veramente tanto. Non me lo spiego e mi dispiace, bisognerebbe fare in modo di proiettare un’immagine diversa nel mondo dei sacrifici che fa l’Italia per essere eco-sostenibili. Prima di questo l’importante è che tutti prendano coscienza di dover lavorare da oggi, non tra un mese o due. E’ più importante il fare, rispetto al comunicare. Sicuramente la comunicazione va a sensibilizzare, ma intanto pensiamo a far bene. Ti do ragione, non me lo spiego che effettivamente, rispetto a ciò che vedo coi miei occhi, molti paesi fanno meno rispetto a ciò che viene comunicato.”

“Un augurio alla Green Economy italiana?”

“Volentieri, faccio un augurio con tutto me stesso a tutti gli imprenditori, gli industriali, a tutti i produttori e a tutti coloro che devono fare i conti con l’eco-sostenibilità nella produzione, ricordando loro che la cosa importante non è solo l’aspetto finanziario, le strutture, le attrezzature o le location, ma l’avere coscienza.”

Ringraziamo di cuore Giorgio Diddi per averci concesso il suo tempo nel rispondere alle nostre domande, di seguito l’intervista completa sul nostro canale Youtube.

Nel DPCM del 2 marzo emanato dal governo Draghi è stata regolamentata la vendita dei beni in base alla loro necessità: i beni che non sono considerati di prima necessità non possono essere venduti dopo le ore 18:00. Tra questi beni, figurano anche gli assorbenti, ovvero un bene considerato di lusso, ma che ha un’utilità capitale per una donna. A questo proposito, abbiamo intervistato Alessia Ria, una giovane ragazza di Collepasso in provincia di Lecce, che ha deciso di non restare indifferente e ha mobilitato un’intera comunità sui social sul problema, raccontando ciò che le è accaduto:

“Giovedì scorso, dopo aver finito di lavorare, mi sono recata al supermercato vicino casa per fare un po’ di spesa e ho preso dallo scaffale due pacchi di assorbenti. Una volta arrivata in cassa mi è stato negato il permesso di comprarli perché le ore 18:00 erano già passate e gli assorbenti non sono considerati dal governo beni di prima necessità. Ho cercato di spiegare in qualche modo la mia esigenza, ma non mi è stato possibile acquistarli, anche perché le forze dell’ordine si sono recate nei giorni precedenti per segnalare il divieto categorico della vendita di questo tipo di beni dopo il suddetto orario. Dopo di che mi è stato detto dall’altro cassiere di prendermela con il sindaco, oppure di dimostrare di avere effettivamente il ciclo. Me ne sono andata a mani vuote e molto arrabbiata, così ho deciso di sfogarmi su Instagram e su Facebook.”

“E’ stata solo la rabbia che ti ha spinto a voler denunciare l’accaduto?”

“Anche l’imbarazzo, perché nel 2021 ho dovuto affrontare, da donna, un qualcosa di assurdo. Lo ripeterò fino alla nausea: non devo dare spiegazioni a nessuno su cos’è il ciclo, quando può venire, come funziona e il perché una donna necessiti l’utilizzo degli assorbenti. Addirittura alcune persone, economicamente parlando, non possono permettersi di acquistarli in farmacia, soprattutto in questo brutto periodo. In quel momento ero molto imbarazzata perché tutto il supermercato e tutto il paese ha saputo che in quel momento avessi il ciclo. Sia chiaro, per me non è un tabù, non me ne vergogno, ma in quel momento ho sentito tutti gli occhi puntati addosso. Mi arrabbio soprattutto per il fatto di dover pagare il 22% di IVA in quanto non sono considerati beni di prima necessità. Non è giusto.

“A proposito di questo, cosa ne pensi a riguardo e cosa ti sentiresti di proporre ai nostri politici?”

“Non è di mia competenza parlare di politica, però nel 2021 siamo arrivati ad avere il tartufo, che fino a poco tempo fa non era tassato per niente, perché considerato come un prodotto della terra, come se fosse un frutto qualsiasi. Non credo che tutti mangino abitualmente il tartufo tutti i giorni. Oggi è tassato al 10% ed è considerato bene di prima necessità. Dall’altro lato vedo alcuni beni che potrebbero essere considerati di prima necessità, mi vengono in mente i contraccettivi, tassati comunque al 22%. Quello che proporrei nel mio piccolo è installare dei dispenser per dare la possibilità a chiunque di usufruire degli assorbenti in qualunque momento, quando più se ne ha bisogno. Se dovessi essere in politica solleciterei gli organi competenti a lavorare sulla proposta di legge riguardante la tassazione al 4% degli assorbenti, che è già stata fatta. In paesi come la Scozia sono addirittura gratis, mentre in Francia, in Inghilterra, anche in Kenya e in India, paesi considerati come ‘in via di sviluppo’, sono riusciti ad abbassare l’aliquota IVA, cosa che in Italia non si è ancora ottenuta.

“Riguardo alla tua denuncia sui social, hai avuto un seguito incredibile, te lo aspettavi?

“Sinceramente no, questa domanda mi è stata fatta in primis dalla mia famiglia e dai miei amici. Ogni volta che assisto o subisco qualunque tipo di ingiustizia mi sfogo sui social senza problemi. Questa volta ho ricevuto tante chiamate e tanti messaggi di moltissime ragazze che hanno subito la mia stessa ingiustizia in giro per l’Italia, come ad esempio a Modena o a Milano. Mi hanno detto ‘grazie, hai parlato per tutte noi’. Mi sono sentita bene perché in qualche modo abbiamo risolto la situazione, anche se solo in Puglia.

“Proprio a questo proposito, dobbiamo dire che la Regione Puglia è intervenuta per sistemare questa falla.”

“Si, è intervenuta dopo circa 16 ore cambiando l’ordinanza, specificando che gli assorbenti sono considerati beni di lusso. Potrei anche ringraziarli, ma non devo essere io, ragazza di 22 anni, completamente estranea alla politica, a ricordare che gli assorbenti sono dei beni di prima necessità. Ho parlato di assorbenti, ma anche la carta igienica e i pannolini vanno incontro allo stesso problema, nonostante siano dei beni primari per l’igiene e la pulizia della persona.

“La questione assorbenti la vedi più come una negligenza politica o credi che ci sia una sorta di maschilismo dietro?”

“Non mi sento di dire nè una cosa nè l’altra. Si, un po’ di maschilismo credo ci sia da sempre nel mondo della politica, però credo che si tratti di un problema di sensibilizzazione e di empatia. I politici uomini, a mio avviso, non possono ancora interessarsi o legiferare su questioni femminili, come succedeva anche in passato. Un uomo non può mai capire cosa prova una donna in questi frangenti, come è normale che sia. Un uomo non può decidere per la donna in questi casi.

“Ti senti di dare un messaggio positivo non solo alle donne, ma a chiunque subisca delle ingiustizie?”

“Si, mi sento di ripetere fino alla morte di non restare in silenzio. La vostra ingiustizia e il vostro messaggio possono essere letti e possono arrivare ai cosiddetti ‘piani alti’, quindi parlate, non abbiate paura, tanto le critiche arriveranno comunque, sia nel bene che nel male. Non fermatevi e non arrendetevi mai.

Koros Magazine ci tiene a ringraziare ancora una volta Alessia per la sua disponibilità e si augura che la sua voce venga udita da quante più persone possibili. Tra qualche giorno uscirà anche la video intervista realizzata dalla nostra redazione sul canale Youtube ‘Koros Magazine’. Stay tuned!

L’attentato da parte di Al-Qaeda al famoso World Trade Center dell’11 settembre 2001 ha generato una frattura insanabile tra il mondo occidentale e quello islamico, mistificando il mondo musulmano come un ambiente distruttore, oppressivo e sanguinario. Fu quell’episodio a scatenare l’ira e l’odio nei confronti dell’Islam, sfociato in ciò che è noto con il termine “Islamofobia“. Il dizionario Treccani la definisce come una forte avversione, dettata da ragioni pregiudiziali, verso la cultura e la religione islamica. L’esistenza di numerosi gruppi terroristici a sfondo islamico, si pensi ad Al Qaeda, a Boko Haram in Nigeria, all’ISIS o ai Fratelli Musulmani, ha distorto la visione occidentale nei confronti delle persone che professano la religione musulmana. Di certo possiamo affermare che le élite di potere non hanno agito in direzione contraria all’Islamofobia latente, al contrario sono riuscite ad alterare ulteriormente l’immaginario comune verso l’intera cultura medio orientale. Ad esempio, la Svizzera ha vietato l’utilizzo del burqa in pubblico nel referendum svolto il mese scorso, mentre in Francia, dopo il voto del Senato sulla questione, le minori di 18 anni non possono indossare il velo, comunemente chiamato hijab, in pubblico, oltre a non permettere alle madri musulmane con indosso l’hijab di accompagnare i propri figli nelle gite scolastiche.

E in Italia? Uno studio condotto due anni fa da Vox Diritti ha rilevato un aumento del 4,48% dei tweet che professano l’odio nei confronti del mondo musulmano. QDS.it ha riportato le dichiarazioni di Yassine Lafram, presidente dell’UCOII (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche Italiane):

“Il clima xenofobo e anti-Islam alimentato dai tradizionali attori politici della destra, come Lega Nord e Fratelli d’Italia, dei movimenti di estrema destra e dai settori più conservatori dei media ha avuto effetti molto negativi a livello sociale, legittimando comportamenti di stampo razzista. Sono aumentati, sia a nord che a sud, gli attacchi fisici e verbali nei confronti dei migranti, richiedenti asilo, rifugiati e cittadini musulmani fino ad arrivare a eventi drammatici”.

Il dato evidenziato dall’associazione ‘Carta di Roma’ ha evidenziato un dato significativo: è poco probabile che un atto di violenza illegittima al fine di incutere terrore in una comunità venga definito terroristico se a perpetrarlo è una persona che rispecchi lo stereotipo dell”occidentale’. Uno studio condotto dal Pew Research Center ha classificato l’Italia al secondo posto (dietro all’Ungheria di Orbàn) dei paesi con più alta percentuale di pregiudizio negativo nei confronti del mondo musulmano (69%).

L’espressione ‘fake news’ è stata designata come ‘espressione dell’anno’ nel 2017 secondo il dizionario Collins e ha iniziato ad essere utilizzata in modo frequente soprattutto durante la campagna presidenziale di Donald Trump del 2016. L’obiettivo di una fake news non è la mera fornitura di una notizia falsa al lettore, ma la capacità di influenzare il lettore al punto da spingerlo a condividerla in modo spontaneo e partecipato. La pandemia da Covid-19 non ha fatto altro che spostare interamente l’attenzione dei media sull’emergenza sanitaria, argomento bersagliato dalla disinformazione. E’ così che insieme alla pandemia si è arrivati all’infodemia, ovvero un neologismo formato dai termini ‘informazione’ ed ‘epidemia’, tratto da un calco dall’inglese (infodemic).

La ‘suractualité’

Il linguista francese Patrick Charaudeau ha constatato che il clima di angoscia e di paura vissuto dalla popolazione mondiale è quello ideale alla formazione della ‘suractualité’, ossia una realtà fittizia, strumentalizzata e deformata. Esistono due processi linguistici in grado di creare la cosiddetta ‘suractualité’: il processo di ripetizione e quello di focalizzazione. Nel processo di ripetizione la notizia in questione passa da un giornale ad un altro, da un notiziario all’altro in modo univoco: in questo modo viene eliminato qualunque spirito critico del lettore. Nel processo di focalizzazione la notizia prende il sopravvento sulle altre, invade l’intero campo d’informazione dando l’impressione di essere la sola degna di nota; chiunque può convenire sul fatto che il Covid-19 è il trend topic dei notiziari da un anno a questa parte.

Il web a servizio dell’infodemia: le ‘cybertruppe’

Quante volte sul web abbiamo letto alcune teorie complottiste che parlavano di antenne 5g responsabili della propagazione del Coronavirus, oppure della creazione ad hoc del virus in laboratorio come arma di distruzione di massa voluta dal fantomatico ‘Nuovo Ordine Mondiale’. Il fattore comune di queste ‘bufale’ è l’accusa verso un’entità misteriosa, un’organizzazione superiore che avrebbe il controllo dell’intero pianeta. Bene, la propagazione di queste teorie è resa possibile grazie alle ‘cybertruppe’: i ‘bot’ e i ‘troll’. Se il discorso su questi ultimi appare più semplice, (il troll è un utente che, grazie a commenti provocatori e divisori genera conflitti e divisioni all’interno delle comunità digitali) l’analisi sui bot è molto più complessa. Il bot è un programma che svolge compiti automatici su Internet, simulando il comportamento di un utente umano. In genere, una serie di bot condividono lo stesso e identico messaggio in varie comunità digitali, gruppi o chat al fine di poterlo propagare il più possibile. Il fatto sconcertante è la loro facilissima reperibilità, infatti sul dark web, a soli 100 dollari si possono acquistare più di 500 bot associati ad un numero telefonico vero. Gli effetti peggiori della campagna di disinformazione attuata dei bot si sono visti in Iran, dove 44 persone sono decedute dopo aver ingerito dell’alcool etilico in modo da contrastare il Covid.