Il numero dieci della Juventus compie gli anni, mentre è impegnato con l’Argentina. Il rinnovo con il Club e le perplessità sulla maturità calcistica le due questioni da risolvere. Nel frattempo, tanti auguri Paulo!

RINNOVO E LEADERSHIP – Non sarebbe stato affatto male festeggiare la ricorrenza genetliaca con la firma sul prolungamento del contratto ma la ragione ufficiale degli impegni oltreoceano con l’Argentina ha impedito al calciatore di porre fine ad una telenovela iniziata mesi fa e che dovrebbe essere giunta ai titoli di coda. A voler pensar male, le gare con la Nazionale hanno fornito l’ennesimo pretesto per far slittare di qualche settimana l’appuntamento con la firma. E a frequenti rinvii abbiamo assistito finora, con tanti rumors e poco campo. Ma la Juventus ha puntato forte su Paulo Dybala e questo basta a scacciare dalla mente i cattivi pensieri: il numero dieci resterà a Torino per i prossimi cinque anni, come da tempo filtra dagli ambienti bianconeri. Il rinnovo sancirà l’all-in della società su un calciatore nel pieno della sua maturazione. Sarà però matura anche la sua leadership in campo? Stando alle ultime indicazioni del campo, la gara con lo Zenit sembrerebbe fornire risposta positiva al quesito. Dybala trascinò i suoi nel successo sui russi con una personalità tale da segnare un solco profondo tra lui e gli altri uomini della rosa. Una doppietta più tante giocate da fuoriclasse in una partita che lo vide assoluto mattatore. E qui, tornano i cattivi pensieri. Quante volte abbiamo potuto ammirare l’argentino nelle vesti di leader in stagione? Poche, per la verità. Con l’apice toccato nella già citata serata europea. Ci pensa Massimiliano Allegri a fugare i dubbi, rilanciando a pieno carico sull’impiego della Joya: ogni qual volta Dybala è stato a disposizione del tecnico, quest’ultimo lo ha schierato dal primo minuto o a gara in corso per complessive 11 presenze stagionali nelle quali sono arrivate anche 6 reti. L’attaccante della Juventus è anche tornato titolare in Nazionale dopo due anni nel match vinto 1-0 contro l’Uruguay. Di Dybala  l’assist per il gol di Di Maria. E puntuale, è occorso un nuovo infortunio che ha costretto l’attaccante ad abbandonare il campo all’intervallo a causa di un fastidio muscolare al soleo della gamba sinistra. La prestazione dello juventino non è stata esaltante. Unanimi le bocciature da parte della stampa argentina, sottolineando l’ennesima occasione sprecata dal giocatore con la Nazionale.

COME MICHEL? – Il ruolo da trascinatore che in Nazionale, vuoi anche per una concorrenza fin troppo proibitiva che risponde al nome di Leo Messi, non può ricoprire, alla Juventus diventa più praticabile per tanti motivi. Il primo è un generale apprezzamento delle doti della Joya in un ambiente che lo ha sempre coccolato e che mai gli ha fatto mancare il proprio appoggio. Quella di Dybala è una storia bianconera che dura da sette stagioni. A Torino hanno vissuto tutte le fasi della sua carriera finora. Da quando, giovane emergente la sua stella brillava in quel di Palermo, fino a quando partita dopo partita si guadagnava un posto da titolare nelle gerarchie di Allegri e poi di Sarri. Di contro, i numerosi problemi fisici degli ultimi anni e una certa difficoltà tattica nell’inquadrare il suo estro entro certi schemi, si sono rivelati essere un ostacolo talvolta troppo grande da superare lungo la strada della definitiva consacrazione a certi livelli. Ma la parabola dell’argentino non può e non deve però considerarsi discendente. Vent’otto anni compiuti lo collocano nel pieno della sua esperienza calcistica. I più grandi talenti della storia di questo sport hanno goduto della piena affermazione dopo aver tagliato tale traguardo. Per non muoversi troppo dalle latitudini della Mole, un certo Michel Platini alla medesima età vinse tutto: uno scudetto con classifica cannonieri, la Coppa delle Coppe e i Campionati Europei con la Francia (anche questi ultimi con tanto di titolo cannonieri). Platini era alla sua seconda annata a Torino, forse la sua migliore in carriera proprio dopo aver compiuto 28 anni. E’ l’età della responsabilità, il momento dell’ora o mai più. La svolta deve arrivare dal suo fisico e dalla sua mente. Non è più tempo di vivere di rendita. La fiducia è un sacco bucato che si non smette di svuotarsi. A Dybala il compito di alimentarlo.

Apre in via del tutto eccezionale nella giornata di oggi lo Juventus Museum. I visitatori potranno anche prenotare gli Stadium Tour e respirare l’atmosfera dell’impianto bianconero. Nei prossimi giorni sarà possibile visitare il sacrario bianconero senza però usufruire di tour dello stadio, poiché l’Allianz ospiterà i match finali della Uefa Nations League.

IL PASSATO A TINTE BIANCONERE – Ripercorrere l’evolversi delle vicende che hanno contraddistinto la storia del Club torinese è come sfogliare il proprio personale album di ricordi. Quello tirato fuori dal fondo del cassetto. Quello con le pagine ingiallite e le fotografie consumate dallo strofinio dei polpastrelli delle dita. Il museo della Juventus propone la medesima sensazione con la differenza di un filtro moderno che riesce a combaciare in un incastro perfetto sulle pieghe della memoria. Visitare lo Juventus Museum nei locali dell’Allianz Stadium significa acciuffare con una mano più di un secolo di emozioni e con l’altra sfiorare l’innovazione multimediale che rende la concezione museale stessa davvero all’avanguardia. Esperire la modernità del J-Museum permette al visitatore curioso di spazzare via la polvere, senza però intaccare i sobbalzi emotivi che il contatto con un calcio d’altri tempi può certamente generare. Nato dalla volontà del Club di celebrare la propria storia, la Juventus mette a disposizione di chi si immerge negli ambienti del museo trofei e memorabilia che, godendo a pieno di un allestimento che la componente multimediale rende ancor più efficace da un punto di vista comunicativo, possono dialogare in piena libertà con il visitatore, avvolto e coinvolto in un’atmosfera unica. Inaugurato il 16 maggio 2012 e ampliato nell’offerta l’anno successivo, il museo intende rivolgersi ad ogni tipologia di pubblico, dal tifoso bianconero all’appassionato di calcio, dal più esperto conoscitore dell’ultracentenaria storia del Club al più giovane iuventino. I Palloni d’Oro alzati dai campioni bianconeri, le maglie dei giocatori che hanno superato quota 300 presenze, le Coppe che hanno coronato i trionfi passati e più recenti, fino alla speciale sala che chiude il percorso spiegando le caratteristiche del Dna bianconero.

UNO SGUARDO IN AVANTI – La strada intrapresa dallo Juventus Museum colloca la struttura in una condizione pioneristica per quanto concerne l’Italia. La concezione di perfetta sintesi tra impostazione tradizionale e percorsi esperienziali ha avvicinato la Juventus alle ben più radicate realtà europee. Una su tutte, il FC Bayern Museum, il più grande esempio di museo di club tedesco. Anch’esso situato all’interno dello stadio di proprietà, affianca alla visita del museo quella dell’impianto sportivo. La componente multimediale si esprime in tutto il suo vigore lungo i 3000 metri quadri di allestimento. I cimeli e i prestigiosi trofei esposti godono così di nuova luce in percorsi dal forte impatto emotivo. Molto suggestiva per immediatezza comunicativa la gigantesca Hall of Fame con tutti i principali protagonisti della storia del Club: i volti di ogni era compongono la parete dei ricordi, ciascuno è un mattone fondamentale del muro della leggenda. L’esempio tedesco si completa con le aree dedicate ai più piccoli visitatori: percorsi ludici e ricreativi con la possibilità di intrattenersi nella casa della mascotte del Club, Berni. Percorsi didattici, articolati in base all’attività dei partecipanti, sono stati approntati anche per il J-Museum, nell’ottica di fornire al pubblico la più completa offerta possibile. Interessante la più recente sezione dedicata all’area J|Sport: qui trovano posto i cimeli di numerosi atleti uniti dalla passione bianconera: Stefano Baldini, Tania Cagnotto, Carolina Kostner ed altri hanno donato al museo testimonianze importanti della loro carriera. Un ulteriore passo in avanti che può essere compiuto qualora il Club riuscisse a guardare con occhio diverso la realtà del tifoso. Non è questa la sede per addentrarsi in un argomento che meriterebbe ben altri spazi. Ma riteniamo che per far entrare a pieno i sostenitori di Madama nel sacrario bianconero, un utile suggerimento giunge, ancora una volta, dalla realtà bavarese. Facciamo riferimento ad una particolare sezione dell’esposizione che raccoglie la parte più sentita del tifo, gli oggetti e le peculiarità che più di altri veicolano la devozione profonda deli supporters nei confronti del club: l’abbigliamento, i canti, i movimenti coreografati. Manca in tal senso un corrispettivo nel museo torinese. La proposta bianconera di consentire ai visitatori di poter vestire la divisa del proprio beniamino mediante la Virtual Room, non riesce a trasmettere a pieno l’immersione nella comune famiglia iuventina. Il futuro del J-Museum può regalare nuove concrete esperienze. E, se è vero che le nuove frontiere della museologia devono ormai stabilmente orientare l’ago della bilancia sul pubblico, è in tale direzione che le nuove proposte devono esplorare il terreno. Siamo sicuri che il guanto di sfida del futuro possa essere ben raccolto e rilanciato.

Arrivato a Torino nell’ultimo giorno del calciomercato estivo, il talento azzurro ha il compito arduo di raccogliere la pesante eredità di Cristiano Ronaldo e rilanciare la Juventus. In Conferenza il ragazzo si è mostrato emozionato ma pronto a cogliere l’opportunità.

TORINOTalvolta le seconde stagioni di una serie tv non riscontrano il gradimento della prima. Talvolta i sequel non attivano le scintille emotive del capitolo precedente. La Juventus di questa stagione ha, invece, deciso di riporre credito esteso nei ritorni. Dal primo alla guida tecnica, quello di Allegri, al secondo in campo con Moise Kean. Il terzo, quello che risponde alla voce di Miralem Pjanic, è sfumato per una questione di monte ingaggi. Ma siamo sicuri che in quel di Torino non avrebbero disdegnato il ritorno del bosniaco. Per Kean la situazione è però diversa. Non torna a vestire il bianconero un calciatore nelle ultime fasi della carriera ma un ragazzo sul trampolino di lancio verso la consacrazione. Il giovane classe 2000 si presenta all’Allegri bis con l’interessante bottino di 41 presenze e 17 reti al Psg. E con le motivazioni di chi sa quello che vuole. “Nessuna pressione. Sono tornato per dare una mano, sono tornato per giocare e mi sento responsabile di dare il 100% per questa maglia”, così Kean ha risposto alla puntuale domanda su CR7. Con una serenità che può ai più apparire sorprendente. Più che di serenità si può parlare, a ragione, di rassicurante consapevolezza. Ronaldo ha viaggiato su score realizzativi che il genere umano faticherebbe a replicare. La scelta di fare ritorno nella squadra che lo ha lanciato nel grande calcio dimostra una determinazione e un attaccamento da veterani. Nei prossimi mesi, sapremo se la sua esplosività si innescherà ancora una volta, come tre stagioni fa, quando la sua stella brillò proprio contro il Milan allo Stadium.

RISERVA DI LUSSO? – Ciò che resta ancora da chiedersi sostanzia il comprensibile scetticismo iniziale che il suo arrivo ha portato con sé. Come e dove Moise Kean può inserirsi nelle idee di Massimiliano Allegri? Il talento azzurro ha finora totalizzato due presenze, entrambe da subentrante. La prima nell’ultimo impegno in campionato con il Napoli di Spalletti. Subentra a Morata e respinge goffamente verso la propria porta l’angolo di Zielinski per il patatrac che ben conosciamo. Sfortuna? Anche. Ma forse poca lucidità nell’affrontare con il piglio giusto una gara che i bianconeri stavano indirizzando verso il pareggio. Kean ha timbrato il cartellino delle presenze per la seconda volta martedì scorso in terra svedese. Ancora una volta prende il posto del centravanti spagnolo. Ma stavolta la prestazione è diversa. Complice anche una gara ormai in discesa con ampi spazi e schemi svedesi saltati. L’attaccante ex Psg ha approcciato alla partita di Champions senza l’emozione del nuovo debutto. La sua personalità è mersa con nitidezza e soltanto il fuorigioco gli ha negato la gioia di salire sulla giostra del gol al Malmoe. Se il buongiorno si vede dal mattino, nelle gerarchie di mister Allegri Moise Kean parte dietro Alvaro Morata. Almeno in questo momento. Lo spagnolo è l’uomo al quale il tecnico affida il reparto offensivo dal primo minuto. Lo spazio per l’ultimo arrivato è quello che saprà ricavarsi nella staffetta con il canterano. Tra pochi giorni valuteremo un nuovo capitolo dell’alternanza in attacco, con la possibilità che le gerarchie si rovescino. Dipenderà soltanto da lui. “Ho già segnato al Milan, ma non si può vivere di ricordi”, forse è il momento buono per mettere in atto una riproposizione in tempo reale della rete ai rossoneri. Appuntamento domenica alle 20,45.

Nuovo asset per l’Eca di Al-Khelaifi. Entusiasta Ceferin che non risparmia una frecciata ad Agnelli quale capitano reo di aver abbandonato la nave Uefa.

NOMINE – Più che la composizione del nuovo Executive Board dell’Eca sembra di assistere al più diretto contrattacco Uefa agli oppositori dell’Ancien régime del calcio europeo. Un nuovo capitolo della vicenda Superlega che continua a rimbalzare da una parte all’altra degli schieramenti con toni aspri e veleni destinati a non risanare ferite sin troppo profonde. E così tra i nuovi volti dell’Eca figurano Alessandro Antonello, CEO dell’Inter, Daniel Levy, presidente del Tottenham e Miguel Ángel Gil, CEO dell’Atletico Madrid. Inter, Tottenham e Atletico Madrid. Tre club firmatari del nuovo progetto Superlega ma che hanno ritirato oggi il premio fedeltà conseguente al tempestivo rinsavire. L’Associazione dei club europei con a capo Nasser Al-Khelaifi fa terra bruciata intorno a sé dopo le dimissioni di Andrea Agnelli. Un gesto dal forte sapore politico che mira a irradiare il suoi effetti sulle tenebre dei promotori del golpe innovativo. “Avverto un senso di rinnovata speranza per la nostra organizzazione e per la famiglia del calcio europeo. Sono qui per rappresentare ogni singolo membro. Recentemente, alcune persone hanno cercato di dividerci. Hanno fallito. Hanno ottenuto il contrario: ci hanno unito e siamo più forti. Sono fiducioso, il futuro del calcio europeo non potrebbe essere più luminoso”, così il numero uno del PSG, millantando una forza tutta economica e molto poco progettuale. Vedte già la nebbia che si dirada e lascia spazio ad un cielo azzurro con qualche pittoresca nuovoletta? No? Forse perché la predica moraleggiante dello sceicco appare più un goffo tentativo di propaganda che una illuminata dichiarazione d’intenti. Fuori luogo e inadeguato a dir poco, il messaggio del patron del PSG stona con quanto abbiamo assistito negli ultimi due mesi. Al Khelaifi è stato capace di allestire a Parigi una squadra con i più forti giocatori del mondo che per una combinazione fortuita sono approdati sotto la Torre Eiffel a zero. Per riuscire nello scopo, ha elargito commissioni sontuose agli agenti e garantito un monte ingaggi che rende certamente più eque le possibilità dei club “minori”. Non so voi, ma io mi sento già molto più rassicurato sul futuro.

CAPITANI E NAVI – In occasione dell’evento, anche il presidente Uefa Aleksandr Ceferin ha preso la parola per tornare sulla questione Superlega: “Molti di noi si stanno chiedendo quando torneremo alla normalità, perché il 2020 e il 2021 sono stati tutto fuorché normali. C’è stata la pandemia, che ha indebolito il mondo del calcio, ma dobbiamo restare uniti anche per riprenderci da quella disgraziata e ciarlatana Super Lega, che speriamo sia stata solo un episodio che non vogliamo tornare a vivere. Dobbiamo ora perseguire una normalità migliore, un modello per il calcio europeo, muovendoci verso un futuro luminoso per tutti e non solo per pochi privilegiati”. Prima che possiate pensare che il destinatario delle ultime sue parole fosse stato Al-Khealifi e il calcio dei facoltosi sceicchi, devo precisare che il numero uno Uefa faceva, invece, riferimento a Perez e compagni, i pericolosi sabotatori del modello Uefa. Se le dichiarazioni sopra riportate non vi avessero già strappato un sorriso amaro, lo faranno senza dubbio quelle successive, relative al Financial Fair Play che, secondo Ceferin, “non supporterà comportamenti irresponsabili ma sarà solido, incoraggerà gli investimenti: i club devono capire che le strategie finanziarie possono impattare su tutte le altre”. Oltre a limitarci a non comprendere l’assurdo paradosso della risoluzione del problema mediante il problema stesso, segnaliamo la stringente necessità di un tetto salariale che possa arginare la sperequazione sugli ingaggi e garantire un più sano equilibrio. E che appare, a ben vedere, una soluzione dalla portata molto più ampia. Nessuna parola dei vertici Uefa in merito. Ceferin ha preferito indossare abiti talari e crocefisso per evangelizzare il popolo in ascolto con un brano tratto dal vangelo secondo l’Uefa: “Quando attraversi una tempesta hai bisogno di un buon capitano e l’Eca ora ce l’ha, mentre quello che c’era prima è scappato dalla nave”. Amen.

L’eliminazione del Portogallo ha prestato il fianco ad una pioggia di attacchi a Cristiano Ronaldo, reduce da una gara nella quale non ha demeritato. Il capro espiatorio è servito e tanti avvoltoi se ne stanno cibando.

LA GARA DI CR7 Belgio-Portogallo avrebbe dovuto essere, secondo le attese degli spettatori e dei tifosi, la partita dello spettacolo e dei gol. Il primo non è mancato, con tante occasioni create dal dinamismo dei lusitani e dalla qualità della selezione belga. Il gol è stato unico: quello di Thorgan Hazard al 42′ del primo tempo. Prima e dopo non è mancata l’intensità: entrambe le squadre hanno mantenuto ritmi abbastanza alti con il giro palla e l’attacco della profondità. Nella notte di Siviglia si vede, ma non come avrebbe voluto lui, anche Cristiano Ronaldo, che gioca per la squadra e tenta la giocata qualitativa, quella che manda in porta un compagno. Ci prova due volte nella ripresa: la prima quando serve un grande assist a Diogo Jota che spreca la conclusione in area; la seconda nel finale con un colpo di testa per André Silva che non sortisce gli effetti sperati. Il fuoriclasse bianconero non riesce ad affondare il colpo decisivo, come fatto nella fase a gironi della quale è capocannoniere con 5 reti. CR7 si è anche messo in proprio. Sua la punizione che ha chiamato Courtois ad un intervento con i pugni. Il solito Ronaldo insomma. Sempre nel vivo dell’azione ma al quale è mancato quel quid plus per trovare il gol. Non a caso le pagelle dei principali quotidiani sportivi sono concordi nel giudicare con la sufficienza piena la prestazione del numero 7.

RONALDO = JUVE – Sarà abituato alle critiche feroci Cristiano Ronaldo, un personaggio sempre nell’occhio del ciclone al quale in carriera non avranno risparmiato attacchi per ogni mal di pancia o indiscrezioni di mercato sul suo futuro. Ma chissà se il fuoriclasse portoghese avrà fatto il callo a quelle critiche, pretestuose e orientate, che muovono da certa stampa italiana, i cui portavoce, che molto di rado ricordano di dover adeguarsi ad una deontologia professionale, non perdono occasione di vestire i panni del più acceso tifoso curvaiolo ed alimentare il calderone, fin troppo bollente e borbottante, di un anti-juventinismo che in Italia trova sempre lo spiraglio giusto dal quale emergere. Anche quando, a ben vedere, è un sentimento tutt’altro che opportuno. Un po’ per principio (godere delle sconfitte altrui non ci pare di per sé molto gratificante), un po’ per distinzione di ruoli (il giornalista, soprattutto se non schierato, non dovrebbe indugiare in pratiche da tifoso), un po’ per dovere di cronaca (la gara di Ronaldo non è esaltante perché il numero 7 non compare nel tabellino dei marcatori ma non è nemmeno insufficiente). Inquadrare la partita – e l’intera stagione – del portoghese con la definizione di annus horribilis è quanto di più inesatto, fazioso e avulso dalla realtà si possa addurre come sintesi della sua annata. Che, lo ricordiamo ai distratti, vede Ronaldo incrementare di due ulteriori trofei di squadra la propria bacheca, oltre ai titoli personali di capocannoniere della nostra Serie A e almeno ad oggi, il titolo di re dei bomber di Euro 2020 con 5 gol. In numeri fanno 36 reti con la maglia della Juventus e 10 in Nazionale. Non male per un anno insignificante ed orribile. Forse in Italia di orribile c’è soprattutto una malsana abitudine. Quella di preferire la caccia all’uomo, al capro espiatorio, meglio ancora se juventino. Perché lo sport nazionale non è seguire il calcio bensì dare addosso alla Juventus. E non c’è Europeo o Mondiale che tenga: in questa competizione la stampa italiana può vantare un palmares degno delle migliori squadre al mondo.

IL LATO BELLO DEL CALCIO – Tra i tanti aspetti che si potevano mettere in luce della gara di ieri sera, anziché affrettarsi ad affossare “lo juventino”, c’era sicuramente il bel gesto di Lukaku che a fine gara si avvicina a Ronaldo per consolarlo dopo l’eliminazione. Un abbraccio, che fa il paio con quello liberatorio al quale si sono abbandonati Vialli e Mancini dopo la sofferta vittoria degli azzurri sull’Austria. Ci piacerebbe e non poco raccontare il calcio degli abbracci e delle strette di mano, dei bei gesti e del fair play. E anche quello della goliardia e dello sfottò che ci strappa una sana risata e ci regala un momento di leggerezza. In chiusura del mio pezzo riservo una menzione d’onore alla gestione degli account social del Museo Archeologico di Venezia. Particolarmente riuscito il post dall’account Instagram che utilizza l’abbraccio tra i due campioni, ormai diventato un meme virale, per rilanciare e promuovere le visite in uno dei luoghi della cultura della città. E l’invito è anche a Cristiano Ronaldo che, se non bastasse il gesto di Lukaku, può sempre lasciarsi alle spalle la delusione per l’eliminazione con una capatina in Laguna, immergendosi in un percorso suggestivo e rilassante tra sculture antiche e ceramica.

Il grave episodio accaduto ieri sera lascia in bocca l’amaro per la violenza delle dichiarazioni e in testa lo sdegno per un comportamento privo di senso e difficile da accettare. Il caso Aurora Leone certifica che l’Italia è ben lungi dal riconoscere all’universo femminile pari dignità e al calcio delle Women il ruolo di componente primaria del movimento calcistico italiano.

CUORE MACULATO – “Le donne non giocano. Da quanto in qua le donne giocano a calcio?”. Sembrano dichiarazioni estrapolate da un discorso retrogrado di qualche decennio ante guerra. Sono, invece, le parole utilizzate da Gianluca Pecchini, direttore generale della Nazionale cantanti, per “invitare” Aurora Leone, attrice del collettivo The Jackal, a levare le tende e lasciare il tavolo al quale era seduta durante la cena che precede l’evento benefico in programma questa sera all’Allianz Stadium. Le motivazioni dell’intimidazione, già di per sé imbarazzanti, stonano se rapportate al contesto solidale all’interno del quale sono state pronunciate. La Leone doveva infatti partecipare all’iniziativa benefica con i membri della Nazionale cantanti contro cui avrebbe giocato la Partita del cuore in programma stasera con l’obiettivo di raccogliere fondi per la ricerca contro il Cancro. Il gesto del Pecchini, oggi dimissionario dal ruolo che ricopriva, è stato condannato da numerosi artisti che hanno manifestato al contempo solidarietà per Aurora Leone. Tra le prime prese di posizione, quella di Eros Ramazzotti, capitano della Nazionale cantanti, che via Instagram ha detto la sua sulla vicenda: “Noi della Nazionale italiana cantanti non siamo stati coinvolti direttamente nella vicenda scaturita dal comportamento di due persone dello staff. Stavamo parlando tra di noi mentre cenavamo, abbiamo sentito delle voci alzarsi senza capire cosa stava succedendo. Io ho provato a recuperare la situazione che era oramai precipitata. Domani mattina (oggi ndr) avremo un incontro con Aurora e Ciro per spiegare meglio la dinamica dell’avvenimento e scusarci pubblicamente dell’accaduto”. Il cantante ha poi annunciato in giornata che non prenderà parte alla gara. Parteciperanno, invece, le Juventus Women che scenderanno in campo per il primo tempo della gara, come annunciato in una nota del club bianconero. Le calciatrici bianconere si sono da sempre distinte nella lotta a qualsivoglia forma di discriminazione.

FAVOLOSE – Inspiegabile comprendere una posizione tanto assurda, quale quella di Pecchini, soprattutto se si pensa che i luoghi che hanno ospitato la cena e che stasera faranno da cornice all’evento sono ancora intrisi della dolce atmosfera di vittoria che ha accompagnato il successo delle Juventus Women nel percorso che ha portato le calciatrici bianconere ad ottenere il quarto tricolore consecutivo. Quattro volte campionesse d’Italia in quattro anni di storia, un record che ben testimonia quanto le donne possano essere perfettamente all’altezza dei colleghi del pallone. Come ricorda Cecilia Salvai e come ribadisce Cristiana Girelli, fresca di titolo di miglior marcatrice del campionato. Il caso di sessismo è destinato a far discutere ancora a lungo. E procura a chi scrive, e credo anche a chi legge, un senso di fastidio che come olezzo nauseabondo pervade il quieto vivere della società civile. E lascia il segno. Ci siamo più volte interessati alle iniziative promosse da Sara Gama a tutela delle pari opportunità. Abbiamo elogiato la lodevole campagna di sensibilizzazione sui temi sensibili dell’attualità promossa in più di un’occasione dalla Juventus FC. Ci chiediamo se fosse stato più opportuno revocare la concessione dello stadio e dei locali come segno tangibile della distanza che il Club deve mantenere da ogni forma di discriminazione, sia essa razzista, omofoba o sessista. Qualcuno potrà dire che una posizione del genere possa essere tacciata di estremismo. Anche se fosse troviamo molto più estremo, nell’abisso della vergogna il tentativo di rimediare del direttivo della Nazionale cantanti, mediante stories su Instagram, nelle quali si accusava la Leone di cercare facile pubblicità, poi prontamente cancellate. Quando la toppa è addirittura peggiore del buco vale la pena percorrere soluzioni dal grande impatto.

“Torna la più grande festa di piazza dedicata al patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese. 600 aperture in oltre 300 città in tutta Italia, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza sanitaria”, recita lo slogan di lancio delle Giornate di Primavera promosse dal Fondo Ambiente Italiano nelle regioni gialle per questo fine settimana. E nella più grave mancanza di rispetto per i professionisti del settore – aggiungiamo noi, perplessi- relegati al ruolo di vittima di poco conto, eterni precari di un universo lavorativo non degno di nota. O non a tal punto da essere coinvolti, e ragionevolmente retribuiti, nelle attività che vedranno coinvolti i luoghi che domani 15 maggio e domenica 16 apriranno i battenti al pubblico con il contributo fondamentale e decisivo di studenti e volontari al servizio della fruizione pubblica di edifici, percorsi e siti archeologici altrimenti non accessibili. Non ce ne voglia chi ha concepito l’iniziativa che ormai da molti anni intende valorizzare il vasto patrimonio culturale del nostro Paese. Ma riteniamo alquanto discutibile la scelta, nei mesi delle chiusure forzate causa covid ancor meno opportuna, di affidare “la nuova visione culturale della Fondazione che vede l’Ambiente come indissolubile intreccio tra Natura e Storia e la Cultura come sintesi delle scienze umane e naturali” a figure non professionali nell’errata ma dominante convinzione che chiunque possa elargire casuali e mnemoniche nozioni sulla data di posa della prima pietra del palazzo d’Avalos di Vasto (CH) o il numero delle specie autoctone di alberi presenti all’interno del Giardino Garibaldi di Piazza Armerina (EN). E soprattutto che il volontario possa avere la piena consapevolezza e gli strumenti culturali funzionali all’elaborazione di quelle informazioni. Due componenti di rilievo che maturano e trovano compiuta ragion d’essere soltanto attraverso il decisivo vaglio critico e la più meditata riflessione.

Palazzo d’Avalos. Vasto (CH)

E’ doverosa a questo punto una precisazione. Non stiamo individuando nell’impiego di personale senza retribuzione il bersaglio facile della nostra amara riflessione. Sia chiaro l’esperienza del volontariato è della massima importanza poiché è una delle più alte forme di amore che l’uomo può manifestare verso il suo prossimo. Ma in un momento storico come quello attuale sarebbe forse più corretto assumere personale specializzato anziché affidarsi per larga parte a liceali volenterosi e pensionati dall’impareggiabile attivismo. Il settore dei beni culturali, soprattutto per quanto riguarda le pratiche valorizzative, è l’unico in Italia che sopravvive quasi esclusivamente mediante l’apporto quantitativo del volontariato. La valorizzazione in particolare riguarda quel complesso di funzioni che il d.lgs. n°42 del 2004 spiega come dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale, ad assicurarne la migliore utilizzazione e fruizione pubblica e a promuovere e sostenere gli interventi di conservazione. Eppure per una funzione tanto importante, al contempo causa, conseguenza e naturale complemento di quella altrettanto fondamentale della tutela, non si riesce a concepire un modello lavorativo e un piano di impiego di stampo diverso, che possa finalmente prescindere dall’impiego massiccio di dilettanti allo sbaraglio e che, per una volta almeno, possa sacrificare il risparmio sull’altare di una fruizione, davvero significativa e davvero culturale. Sempre più consapevole e sempre meno improvvisata. Il volontariato può e deve fare la sua parte in un settore culturale sano nel quale tutte le professioni coinvolte godano del dignitoso riconoscimento del proprio ruolo. Quando l’impiego di precari mai regolarizzati o di guide turistiche dell’ultima ora assume le dimensioni della prassi diffusa ad ogni latitudine dello Stivale, è lecito domandarsi fino a che punto le aperture garantite dal Fai in questo weekend siano l’atteso evento dall’irrinunciabile fascino, come annunciato dal sito della Fondazione. E se invece non valga la pena desistere da una manifestazione che non appare rispettosa di tanti lavoratori della Cultura costretti per mesi ai box dalle necessarie misure anti-contagio. Certo il lavoro gigantesco e la fitta rete comunicativa messa in atto dal Fai hanno restituito vita e destinazione pubblica a luoghi meno noti ma tanto significativi della storia, dell’arte, dell’archeologia e del paesaggio italiano. Le Giornate di Primavera consentiranno ad esempio la visita alla settecentesca Fortezza di Alessandria. Particolarmente affascinante sarà il tour del parco e del castello di Sammezzano, eclettico edificio voluto dalla famiglia Ximenes-D’Aragona a una trentina di chilometri da Firenze in territorio di Reggello. Gli appassionati di architettura e storia romana potranno godere delle visite guidate al quartiere di Santa Clementina di Benevento che ospita il caratteristico ponte Leproso restaurato da Settimio Severo e dal figlio Caracalla nel 202 d.C. Immergersi nei suoni della natura circostante e nel profumo delle zagare in piena fioritura che fanno da contorno ai ruderi del maniero normanno sarà, invece, possibile a chi vorrà ammirare il restaurato castello di San Michele e le cedriere di Santa Maria del Cedro nel cosentino. Ma il tutto al prezzo salatissimo di calpestare la dignità dei lavoratori del settore, proseguendo in una distorta campagna di informazione nella quale il volontario si può sostituire al professionista.

Castello di San Michele. Santa Maria del Cedro (CS)

La trasferta di Udine è risolta da due guizzi di Cristiano Ronaldo. A pochi minuti dalla fine Pirlo concede il debutto stagionale al giovane attaccante dell’Under23.

LE TANTE FACCE DELL’ATTACCO – Minuto 84 di Udinese-Juventus. Il pari è stato acciuffato grazie al rigore trasformato da Ronaldo un minuto prima ma non basta. Per non perdere quota nella corsa al piazzamento in Champions League, serve lanciare il cuore oltre l’ostacolo. E’ necessario sbilanciare la squadra nel tentativo di trovare il gol del vantaggio. Morata ha già rilevato uno spento Dybala ma il cambio non ha sortito gli effetti sperati. Non buona la condizione dello spagnolo, come annunciato nella Conferenza della vigilia. Pirlo guarda in panchina e decide che è arrivato il momento di inserire Felix Correia per l’esordio stagionale. Sei minuti più recupero per dare un po’ di brio all’attacco bianconero. Il classe 2001 tocca pochi palloni ma dimostra di avere gamba e personalità. Il tempo concessogli non gli consente di imprimere cambiamenti consistenti al match. Non è Ronaldo, per il quale anche una sola palla può essere quella della svolta. Ma non è certo colpa sua se l’attaccante proveniente dall’Under23 di Lamberto Zauli non ha potuto beneficiare in stagione di un più ampio minutaggio. E’ comunque lecito domandarsi se un debutto anticipato di qualche mese avrebbe potuto fornire alla squadra quella imprevedibilità che più volte è latitata nella manovra offensiva di Andrea Pirlo. Tanti tifosi e addetti ai lavori hanno invocato a gran voce l’impiego di Felix Correia nei momenti più delicati dell’annata bianconera. Il tecnico bresciano lo lancia in campo nel finale di gara della Dacia Arena, più per riparare all’errore di non aver tenuto in campo Dybala quando c’era bisogno di qualcosa in più lì davanti, che per sincera convinzione nelle sue qualità. Eppure il ragazzino portoghese sarebbe stato utile nel momento in cui, prima dell’infortunio della Joya, si ripetevano le prestazioni sottotono dell’argentino. O quando un esausto Morata era costretto agli straordinari per sopperire alla mancanza di interpreti d’attacco. O ancora quando un deludente Kulusevski inscenava con scarsi risultati il ruolo di partner di Ronaldo in un tandem d’attacco improponibile. La prima presenza in campionato del giovane Correia arriva quando mancano soltanto quattro partite al termine della contesa (cinque con la finale di Coppa Italia). Se Dybala sarà l’oggetto del prossimo mercato e se Morata è la scialba fotocopia del letale centravanti di inizio stagione, non riteniamo affatto fuori contesto l’inserimento di qualche nota nuova nello spartito, quest’anno spesso stonato, della Vecchia Signora. Il futuro è suo. Sta alla Juventus crederci.

Il governo ha dato il via libera. E’ finalmente tempo di riaperture per i musei e i luoghi della cultura ubicati nelle regioni passate in zona gialla. Tra queste la Toscana e Firenze non fanno eccezione. I visitatori potranno nuovamente riprendere il dialogo interrotto con le manifestazioni visibili e tangibili della cultura. Le porte dei musei fiorentini torneranno a garantire l’effettiva destinazione pubblica dei ben noti capolavori. Obiettivo raggiunto soltanto in parte negli ultimi mesi mediante le iniziative virtuali in rete. Oltre alla mascherina obbligatoria per tutta la durata della visita, la misurazione della temperatura corporea all’ingresso e il distanziamento, l’ultimo decreto ha aggiunto la regola nuova della prenotazione obbligatoria per il fine settimana. Dal lunedì al venerdì, invece, i musei potranno regolarsi nel modo che ritengono più opportuno. Il termine a quo per cominciare le riaperture era fissato al 26 aprile. Eppure sotto il Cupolone le realtà museali hanno messo da parte la fretta per ponderare decisioni che ad un primo impatto possono sembrare rivedibili, ma che ad un’analisi meno superficiale risultano quanto mai oculate. Soltanto il museo del Giardino di Boboli ha indossato i panni dell’apri-fila e ha riaperto i battenti nella giornata di ieri 27 aprile. Attraverso l’ingresso di Palazzo Pitti, il parco sarà visitabile dal lunedì alla domenica dalle 8,15 alle 18,30. La Botanica Superiore resterà aperta soltanto la mattina (con orario 9-13). In ottemperanza alle norme, resteranno chiuse la Grotta Grande e il Museo delle Porcellane.

A differenza del Giardino di Boboli, il voglioso visitatore museale dovrà attendere almeno un’altra settimana prima di poter varcare di nuovo la soglia dei grandi complessi museali cittadini. La Galleria degli Uffizi riaprirà al pubblico martedì 4 maggio. Sarà il direttore Eike Schmidt a riaprire il portone d’ingresso, consentendo l’accesso all’ordinario percorso di visita, arricchito dalle 14 nuove sale del primo piano, e alla mostra di scultura romana dedicata alla figura della donna in età imperiale dal titolo Imperatrici, matrone, liberte prorogata fino al 13 giugno. Il 4 maggio sarà la volta degli altri musei di Palazzo Pitti: la Galleria Palatina, la Galleria d’Arte Moderna e il Tesoro dei Granduchi. Due giorni dopo riaprirà, in vesti del tutto nuove, la Galleria dell’Accademia. In questi mesi il museo ha inaugurato numerosi cantieri di ristrutturazione che coinvolgono la Gipsoteca di Lorenzo Bartolini e la Sala del Colosso. I cantieri hanno costretto gli operatori a mobilitare oltre 400 opere per creare un nuovo allestimento. Ne guadagna il coinvolgimento emotivo del visitatore che potrà essere accompagnato verso la Tribuna dove alloggia il David di Michelangelo da uno stuolo di figure, i gessi di Lorenzo Bartolini, che prima alloggiavano nella Gipsoteca. Discorso analogo per le sale delle mostre temporanee nelle quali trovano posto i dipinti rinascimentali provenienti dalla Sala del Colosso.

Lunedì 3 maggio il Museo del Bargello riapre con orario 8,45 – 13,30. Sarà chiuso il martedì, la seconda e quarta domenica del mese. Riaprono il medesimo giorno le Cappelle Medicee e il Museo di Palazzo Davanzati. Se per i grandi musei statali l’orientamento prevalente è quello dell’attesa per ultimare i lavori e fornire al pubblico un più efficiente servizio, i musei civici fiorentini erano inizialmente intenzionati ad inserirsi nel solco del rinvio tracciato dagli omologhi statali. Salvo poi ricevere differente ordine da Palazzo Vecchio. Così da questa mattina tornano fruibili: il Museo di Palazzo Vecchio e la Torre di Arnolfo con orario 9,00 – 19,00 tutti i gironi, escluso il giovedì (9,00 – 14,00); il Museo del Novecento con nuove interessanti mostre dal lunedì alla domenica con orario 11,00 – 19,00 e il giovedì dalle 11,00 alle 14,00; la Cappella Brancacci dal mercoledì al venerdì dalle 10,00 alle 17,00. Aprirà dal 30 aprile anche l’affascinante Museo Bardini visitabile il lunedì, venerdì, sabato e domenica con orario 11,00 – 17,00.

Quanto conosciamo lo stato di salute dei nostri mari? Quanto a fondo siamo informati sulla principale causa di impoverimento delle acque? Seaspiracy, esiste una pesca sostenibile? è il docufilm realizzato dal giovane videomaker e attivista ambientale inglese Ali Tabrizi. E fornisce la risposta più spiazzante ai nostri quesiti. Le sue immagini forti sono un deciso cazzotto nello stomaco dello spettatore. Di quelli che lasciano tramortiti per un certo periodo di tempo, prima di farti acquisire nuova sensibilità.

IL TEMA – Ottenuto dalla crasi di “Sea” e Conspiracy”, il titolo del lavoro riassume il punto di vista dell’acuto osservatore, interessato a mostrare fino a che punto l’uomo possa aver danneggiato il mare. Di più. A narrare in prima persona i retroscena che si celano dietro l’impatto che la pesca intensiva ha sull’ecosistema. I novanta minuti di Seaspiracy si aprono con l’autore bambino che riprende i gabbiani con una telecamera. Il bambino cresce e a 22 anni di età vuole mostrare allo spettatore la bellezza del mare. L’incipit azzurro si scurisce quando l’attenzione si sposta su immagini di balene arenate con lo stomaco pieno di plastica e delfini agonizzanti tra cumuli di rifiuti. Non è un caso che Tabrizi abbia scelto questi due animali: le due specie garantiscono il necessario rimescolamento delle acque e la sopravvivenza del fito-plancton, i microrganismi responsabili della produzione della gran parte dell’ossigeno che respiriamo. Decimare queste specie comporta un danno letale per l’essere umano. Le immagini si susseguono con un ritmo da film d’azione. L’autore si aggira in prima persona nei luoghi e nei contesti nei quali si consumano le scene più atroci. Un viaggio dal Giappone alle isole Far Oer con il fil rouge della denuncia che caratterizza tutto il lavoro. Non procedo oltre con la narrazione per non privare chi, spinto dalla sensibilità del tema o dalla mera curiosità, vorrà approfondire con la visione del documentario. Mi limito soltanto a segnalare i picchi raggiunti da Ali Tabrizi nel vero e proprio giornalismo investigativo. Soprattutto quando il docufilm passa in rassegna le organizzazioni che assicurano la “pesca sostenibile“, come la Marine Stewardship Council, premiata più volte con l’etichetta “salva delfini”, ma che – spiega il film- di delfini ne salva davvero pochi. Per ammazzare otto tonni, sono più di quaranta i delfini che vengono uccisi. Emerge allora il fatto preoccupante che finanche le organizzazioni che professano un approccio sostenibile rechino in seno gravi colpe etiche.

LE REAZIONI – Pur difettando in parte nella cura stilistica, Seaspiracy riesce nell’intento di porre l’uomo di fronte alle proprie azioni mediante l’invito, scomodo e imbarazzante, a riposizionarci sul pianeta. Che il videomaker inglese abbia colto nel segno lo si può comprendere se teniamo in considerazione almeno due ordini di ragioni. Il primo fa capo alle coscienze presso le quali il film ha saputo generare un terremoto emotivo destinato a non passare inosservato. Il cantautore Brian Adams, il campione di football americano Tom Brady, la modella Kourtney Kardashian hanno abbracciato il messaggio e incoraggiato il lavoro. L’utenza ha fatto il resto, tanto che in quarantottore Seaspiracy è entrato nella Top 10 dei film più visti su Netflix in oltre trenta paesi. In secondo luogo, il docufilm ha causato la reazione piccata di quell’industria ittica che Tabrizi mette alla gogna, stigmatizzandone avidità ed interessi. E come spesso accade, nel momento in cui il bersaglio grosso viene colpito nel suo centro pulsante, lo scoccatore del dardo che svela il misfatto è tacciato di eccessiva semplificazione e il contenuto del film etichettato come “propaganda vegana”. A dirimere la controversia ha pensato la BBC con l’indagine meticolosa di tutte le tesi, di Seaspiracy, rilanciando e ampliando l’eco del campanello d’allarme.

L’ANALISI – Assodato che il documentario abbia fatto discutere, ed è questo sicuramente uno degli obiettivi perseguiti dal suo autore, è lecito domandarsi quale livello di lettura vada a toccare il rischioso video-denuncia di Tabrizi. Se cioè la profondità d’analisi si fermerà all’immediatezza della reazione emotiva o se compirà il passo successivo. I documentari Netflix riescono sempre a suscitare uno shock non indifferente. E anche Seaspiracy si inserisce nel medesimo filone. Telecamere nascoste, primi piani sul sangue, il crudo realismo delle macellazioni. Il tutto narrato da una voce fuori campo particolarmente ispirata. Tutto è confezionato con l’intento di innescare il massimo impatto sulla coscienza dello spettatore. Ma se alla pura indignazione non segue la lucida elaborazione razionale, il rischio al quale si va incontro è quello di sfociare nella ideologia. Su questioni tanto delicate si avverte l’esigenza di un più solido fact checking, soprattutto sulle effettive stime degli esemplari delle diverse specie e il futuro degli oceani. Per concludere, sarebbe stato preferibile che alla narrazione improntata allo stimolo emotivo fosse seguita una rigorosa e meditata indagine che non renda vano e controproducente il richiamo mediatico del prodotto audiovisivo.