Mario Draghi parla poco e sembra quasi che faccia nulla.
Poi, interviene alla Corte dei Conti e, con poche parole, evidenzia il nesso tra burocrazia e corruzione e quello tra burocrazia e immobilismo del Paese; parla al G7 e pone il problema della tutela dell’ambiente come prioritario in termini concreti, non di anti-economicismo velleitario, ma di motore di nuovo sviluppo; prende la parola al Consiglio Europeo e dice una cosa banale e di buon senso, ma a suo modo rivoluzionaria: non c’è motivo per cui l’UE deve comportarsi, coi vaccini, diversamente da Usa e Uk.
I tifosi di Conte si mettano l’anima in pace: non c’è gara. E non basta il tempestivo accredito sui conti di tanti signori impegnati nello shopping non di sopravvivenza natalizio per restituire agio alla competizione.
Il problema però rimane.
Draghi sta lavorando, anziché pontificare, su un Paese ridotto in macerie e non solo economiche, ma prima ancora culturali e di sensibilità.
Ne ho avuto la riprova in questi giorni.
La conferma non mi è arrivata dal suk per le nomine dei sottosegretari, né dal piagnisteo sul perché in quindici giorni non è ancora successo alcun miracolo (come se lo spread sotto 90 punti non equivalesse allo scioglimento del sangue di San Gennaro, peraltro con carattere di minore frequenza).
È nel silenzio tombale su due articoli, uno de Il Fatto; l’altro di Repubblica.
Il primo racconta della impossibilità di formare una commissione di esperti per la riforma fiscale, perché i cattedratici di settore sarebbero tutti coinvolti in un’indagine che, partite nel 2017, nell’aprile 2021 (tre anni e mezzo dopo), probabilmente esiterà in un rinvio a giudizio, e i professionisti sarebbero tutti inclini a favorire l’evasione, piuttosto che a curare gli interessi dell’erario.
Il secondo è l’intervista a Di Maio.
Mi aspettavo che qualcuno prendesse carta e penna e scrivesse indignato che viviamo in un paese in cui vige ancora il principio di non colpevolezza; che a maggior ragione dovrebbe farne uso, di quel principio, il giornale che sostiene quella parte della magistratura che, per difetto di reazione, ha confessato la realtà del sistema Palamara, identico a quello universitario sospettato di illecito e messo sotto processo; che il rapporto tra fisco e contribuente è un rapporto delicato, non di guardie e ladri, ma di ricerca sempre faticosa di un equilibrio sulla misura e la natura dell’onus che deve essere imposto al cittadino, per ragioni di solidarietà, ma che sempre onus rimane e rischia dunque di schiacciarlo; che le idee non sono come le ideologie e possono essere cambiate, ma ciò nonostante non ci si può improvvisare liberali ed europeisti, perché l’essere liberale ed europeista, come del resto socialista o laburista o ambientalista, è il frutto di una sensibilità che si affina con lo studio e negli anni e con l’esperienza, si radica in tessuti sociali e produttivi e non si decide tra il giorno e la notte…
Invece, nulla di tutto ciò.
Silenzio.
Rotto solo dal coro delle prefiche zingarettiane per la chiusura della trasmissione della D’Urso, che i compagni d’un tempo avrebbero salutato con entusiasmo e che francamente non mi pare censurabile neppure ponendomi nella prospettiva estetica suggerita da Marx (Karl, non Groucho).
E questo silenzio induce timore.
Se non riusciamo a romperlo, restituendo dignità e fermento al dibattito pubblico, purtroppo neanche Draghi ce la potrà fare. O meglio: forse potrà lasciarci qualche bellissima riforma, che magari produrrà effetti positivi d’abbrivio o magari ci rimarrà in mano come un gadget tecnologico regalato ad una tribù amazzonica. Ma il Paese non trarrà effettivo giovamento neanche da questo passaggio.

Biden ha ordinato un bombardamento in Siria.
Sui social è scattato, allora, il riflesso alla santificazione di Trump, che in effetti bombe non ha fatto lanciare.
Il fatto che i paladini della destra conservatrice possano rimproverare alla sinistra arcobaleno la prossimità a leader guerrafondai non è, però, un paradosso, né il segno dell’avvento dell’apocalisse. E non è neanche, a mio modesto avviso, la prova che i populismi del mondo incarnano una spontaneità popolare ed umana, che i poteri forti (?) vogliono condizionare con retoriche finte, per soddisfare ambizioni di ultrapotere.
Vale piuttosto a ricordare a tutti, a destra e sinistra, a intellettuali e dursisti, alcune regole semplici e di buon senso, che sono state dimenticate da un mondo troppo abituato al sincretismo delle narrazioni di massa e consumistiche e sempre meno disponibile alla riflessione critica, ma che finiscono per imporsi con la loro evidenza.
La prima riguarda proprio l’uso della forza e di quella militare, in particolare: anche i sistemi democratici più avanzati e le società meglio organizzate si poggiano sull’assunto, spesso lasciato implicito, che la violazione delle regole comuni può legittimare una reazione violenta, da parte di chi si ritenga o sia legittimato a farle rispettare, che sia un soggetto individuale, investito di una qualche funzione di controllo, o un soggetto istituzionale, cui quelle funzioni sono delegate per volontà comune. Tanto più le regole sono accettate e condivise, tanto più l’assunto può essere relegato sullo sfondo. Non può essere tuttavia mai negato, né superato. Fino a prova contraria, insomma, costituisce un assioma di tutte le costruzioni sociali. Anche il mondo delle relazioni internazionali è un sistema di relazioni sociali.
Se si guarda da questa prospettiva, le scelte apparentemente pacifiste di Trump e quelle apparentemente guerrafondaie di Biden cessano di avere quel vestito, che è solo retorico, e ne assumono uno più realistico. Trump ha voluto che gli USA smettessero di svolgere il ruolo di poliziotto del mondo, che hanno assunto fino alla sua elezione. Biden vuole far “ritornare l’America”. Si può discutere se sia giusto oppure non che gli USA svolgano quel ruolo; al limite, se ci convenga oppure non e che alternative ci siano, ma le categorie guerra cattiva/pace buona sono inadatte a leggere il tema. Servono solo a una narrazione da politicamente corretto, che equivale a politicamente inutile.
Personalmente, visto che in assenza di poliziotti può instaurarsi una tendenza anarcoide di tipo violento, che a livello di relazioni internazionali vuol dire rischio di focolai di guerra vera in alcune parti del mondo, con alterazioni anche dei flussi migratori non controllabili; considerato che gli altri concorrenti al ruolo di poliziotti mi danno minori rassicurazioni, mi auguro che – fino all’avvento di un nuovo e radioso ordine mondiale – gli USA continuino a fare qualcosa, piuttosto che guardare al loro orticello.
L’altra regola che la vicenda siriana di ieri ricorda è che fenomeni complessi non possono essere letti semplicisticamente e, quindi, monocularmente.
Trump non può essere considerato buono o cattivo solo perché non ha fatto le guerre. Il fenomeno Trump, che le vicende post 6 gennaio dimostrano non riducibile alla psichiatria del suo promotore, è un fenomeno complesso: incarna la tentazione delle società ricche di replicare, a livello di massa, l’atteggiamento che i loro esponenti di punta hanno assunto, a livello individuale, da ormai due generazioni (Lasch) e che si concretizza in una progressiva chiusura in ambienti ristretti e controllati, distaccati dal resto del mondo, se non per cordoni ombelicali di aspirazione di ricchezze, e regolati da regole sociali e principi molto selettivi e di auto-conservazione. È inevitabile che questa tentazione si volgarizzi, nelle forme, al diffondersi. Insomma, che appaia come populismo razzista a livello di massa quello che nei salotti buoni è snobismo ed eleganza. È altresì inevitabile che proprio le punte più avanzate della società, quelle che hanno sublimato a livello personale il fenomeno, lo stigmatizzino come inaccettabile, anche culturalmente, quando lo vedono replicarsi in grandi numeri e che questa stigmatizzazione venga percepita come inaccettabile ed offensiva da chi non capisce perché il milionario può rinchiudersi nel suo parco circondato da pareti inaccessibili e il proprio paese non possa farlo, in un momento di solidarietà nazionale.
Il piano sul quale valutare la bontà/cattiveria di Trump come fenomeno politico (almeno uno di quelli sul quale valutarla) è, però, questo.
E con l’avvertenza che qualunque decisione si voglia prendere su questo piano, non incide sulla valutazione, comunque negativa, delle modalità con le quali ha usato la bugia e la violenza anti-istituzionale come strumenti di politica in ambito democratico.
Personalmente, ritengo che, quella tendenza che Trump incarna, sempre pericolosa, possa essere letale per l’intera umanità, in un momento in cui si assiste al verificarsi di due fenomeni incontrollati: la progressiva concentrazione di ricchezza solo finanziaria, talvolta anche extra-statuale (vedasi cripto valute), in pochissime mani, da una parte; il fiorire di forme di intelligenza artificiale che, ove non suscettibili di attribuire autonomia ai pc, potranno comunque essere utilizzate per creare ultra uomini (come lasciano temere gli esperimenti sempre troppo poco verificati nelle finalità effettive di Musk sui connettori cerebrali), dall’altra parte.
Ma la pericolosità non può essere né denunciata, né combattuta con analisi manichee e contrapposizioni da stadio.

Un anno fa iniziava il Covid. Possiamo dire che ci ha cambiato la vita molto di più di quello che avremmo mai potuto immaginare. Questa pandemia ha svolto la funzione che in genere svolgevano le guerre. In termini marxiani sta svolgendo egregiamente il compito di affrontare in modo storico la irrisolvibile contraddizione capitale-forza lavoro. Il neo-capitalismo ha pensato di risolvere questa contraddizione tramite un capitalismo finanziario che ha creato troppa ricchezza e la pandemia sta chiedendo il suo tributo, facendo evaporare il nostro benessere. Stiamo perciò atterriti perché assistiamo alla distruzione di ricchezze, alla distruzione di paradigmi, alla distruzione di vite, non tanto e non solo a livello fisico ma soprattutto a livello interiore. Ci si sente fuori posto, di fronte a una sfida che ci fa paura.

Ho 61 anni, un’età che la generazione precedente considerava da pensione, ma adesso ho ancora quasi 10 anni di lavoro di fronte a me. Il mio lavoro principale, il prof. universitario, andrà in conto a una trasformazione epocale. L’Università (e la Scuola) così non servono. Abbiamo un’accademia autoreferente che si autoesalta in modo arrogante, del tutto inutile sia al Paese che per i nostri studenti. Le proposte alternative basate su una logica aziendalista, riescono ad essere perfino peggiori. Questa Università infatti è sostanzialmente poco utile, un’Università aziendalista è potenzialmente dannosa. Ho capito che quello che Jep Gambardella aveva intuito a 65 anni, vale anche per me a 61: “La più consistente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto 65 anni è che non mi va più di perdere tempo a fare cose che non mi va più di fare”. Fare ricerca competitiva in Matematica all’età di 60 anni è come pensare di giocare in serie A a 50 anni. In generale una pena per sé e per gli altri oltre che una pia illusione. Posso fare però altre cose: avere studenti di Dottorato, scrivere libri di divulgazione, collaborare con altre discipline, studiare Dante, insegnare a Master universitari, dedicarsi a fare “vera” matematica industriale, interessarsi alla politica, vedere come si quota un’azienda a Londra. Insomma il post-Covid mi sta costingendo a una rivoluzione copernicana.

Ma il Covid ha reso obsoleti modelli di sviluppo che pensavamo immutabili non solo a livello personale ma anche a livello locale e nazionale. Ad esempio il modello di sviluppo del centro di Firenze seguito prima della pandemia presentava forti analogie a quello (fallimentare) della Milano da bere. Il centro, negli ultimi 20 anni, si é spopolato di residenti ed è stato adibito alla movida di turisti con un alto grado alcoolico nel sangue, insomma un parco giochi ricco di pub e ristoranti etnici dove la grande bellezza e la grande storia della città erano una cornice insignificante degli schiamazzi notturni. Con la pandemia il centro è ridotto a una ghost-city, una serie di saracinesche abbassate, zero turisti, un po’ di tossici, qualche homeless che dorme sotto i portici. E’ ovvio che Firenze dovrà cambiare politica: meno kebab, pub e bed&breakfast e più librerie, parcheggi riservati e negozi di alimentari per rendere possibile la vita ai residenti.

La stessa cosa riguarda la politica nazionale. La pandemia ha cambiato tutto. Il modello fino ad adesso seguito era gerontocratico. Tanti anziani con ottime pensioni (molto più ricche di quanto meritassero per i contributi effettivamente versati), pochi giovani e tra l’altro pochissimo qualificati. I giovani qualificati che pure produciamo non rimangono in Italia a causa di stipendi ridicoli e dell’eccessivo precariato. Registriamo un flusso incontrollato di migranti in genere scarsamente qualificati (per usare un eufemismo) che non servono per una società basata sulla conoscenza come quella attuale. Questo modello non potrà reggere alla post- pandemia. L’utilizzo di sistemi esperti e di robot cancellerà tantissimi lavori poco qualificati. Creerà invece tanti posti di lavoro per personale qualificato (che produciamo poco e tratteniamo punto). I lavori rimasti a basso livello di qualificazione saranno contesi ferocemente fra Italiani e Migranti. Moltissime persone, poco qualificate, saranno espulse dal mondo lavorativo a 50 anni: troppo anziane per trovare un nuovo lavoro e troppo giovani per aspirare ad una pensione. Sarà una sfida dura ed impegnativa uscire da questo cul de sac. Sia per gli Italiani e per la classe politica che dovrà reinventarsi perché quella attuale, nel suo complesso, non sembra in grado di affrontare con successo questa sfida. Non hanno saputo affrontare la pandemia, figuriamoci il post-covid che sarà molto ma molto più duro. Come diceva il grande Belushi, quando il gioco si fa duro, i duri devono iniziare a giocare. Perciò, volenti o nolenti, per continuare a giocare, per continuare a svolgere un ruolo, dobbiamo imparare ad essere duri. La pandemia è stata come l’introduzione di una safety car. La corsa si è fermata e le distanze sono state azzerate. Tra poco ci sarà la luce verde, abbiamo cambiato driver e messo, ragionevolmente, il migliore che potevamo scegliere. Riusciremo a non perdere troppe posizioni e a rimanere far i paesi avanzati? Questa è la sfida che abbiamo davanti, sia come singoli che come Nazione. Saremo in grado di vincerla?

I nostri giornali e i nostri giornalisti sono disabituati e ci hanno disabituato alla riflessione.
È bastato, allora, che Draghi imponesse un minimo di silenzio alla grancassa di Palazzo Chigi e il silenziatore della sua moral suasion agli oppositori (in effetti, sostanzialmente ridotti al tentativo di Rai3 di stabilire un improbabile parallelismo tra le posture della Meloni e quelle di Sharon Stone), perché tutto il circo giornalistico, Travaglio compreso, smettesse di essere routilante e, quindi, calasse sul paese una sorta di strano ebetismo, diviso fra i commenti al Festival (l’unico superstite rito di unità nazionale, come scriveva l’anno scorso Veneziani) e quelli, con minor coinvolgimento, alle dimissioni di Zingaretti.
Mi pare, però, che continuino ad accadere delle cose.
Alcune mi hanno colpito, perché meriterebbero qualche riflessione, almeno dal mio punto di vista.
Mattarella rimanda le elezioni amministrative; il Censis certifica il tracollo dei redditi degli avvocati, soprattutto giovani, donne e meridionali; il procuratore Creazzo, di Firenze, propone e ottiene che sia divelto l’organo di governo dell’Università di Firenze, per brogli nei sistemi concorsuali a Medicina.
Nessuno di questi fatti fa notizia; nessuno buca la soglia dell’attenzione pubblica. Sicuramente, sorprendono meno delle lacrime e dei vestiti di Achille Lauro, quello nuovo.
Per carità: chi ha risolto la crisi di governo in difetto di una chiara maggioranza parlamentare senza sciogliere le camere, non poteva certo contraddire sé stesso, in piena terza ondata. E che i baroni universitari siano corrotti e gli avvocati una manica sempre più larga di scappati di casa sono ormai addirittura luoghi comuni del nostro percepito del paese.
A ben vedere, però, tra la gente normale, – quella che malgrado l’emergenza, si sveglia tutti i giorni cercando di conservare l’equilibrio della quotidianità; la propria azienda; un minimo di dignità – quei fatti, per come si sono svolti, per le loro cause, per quello che significano, dovrebbero suonare come gli allarmi anti-bombardamento nel silenzio della notte. E indurre, sollecita, una reazione, una presa di coscienza, una qualche forma di ribellismo, magari semplicemente sotto le sembianze del dibattito e dell’interrogativo.

Le elezioni sono il massimo momento di democrazia. Si deve senza dubbio alcuno tenere conto dell’avanzamento della pandemia. Non si può tollerare, però, che non se ne discuta, e si prenda semplicemente atto, che sono sospese e potrebbero rimanerlo sine die. Mi si potrebbe obiettare che, dato atto della preminenza della pandemia, si tratterebbe di discussione tra sofisti, fine a sé stessa. Ma non è così: sarebbe stata questa l’occasione per discutere, piuttosto che soltanto delle alchimie per la composizione delle camere, per esempio, del profondo legame che le nostre leggi stabiliscono con la fisicità del momento elettorale. Non si tratta di un legame necessario. Lo dimostrano ciò che accade in altri sistemi, sicuramente democratici, e se si vuole, anche il sentire che la piattaforma Rousseau ha imposto ad una parte importante del nostro elettorato e financo ai riti istituzionali. Si tratta, però, di un legame che può imporre distorsioni, tanto più in un paese di vecchi, vecchi soli e di forte emigrazione interna non sempre registrata all’anagrafe. Si potrebbe dunque pensare a tutelare la democrazia, anche attraverso il voto a distanza.

Il sistema della selezione della classe dirigente apicale del paese mostra da anni delle crepe, che preludono al suo fallimento. Da tempo, si susseguono gli scandali, suscitati da inchieste penali, giornalistiche o semplicemente giudiziarie, avviate dalla reazione degli interessati, sui concorsi nelle università, le nomine in magistratura, le selezioni dirigenziali nella pubblica amministrazione e nelle partecipate pubbliche. E la scuola è ormai un luogo di reclutamento per assedio: viene reclutato chi ha più pazienza ad aspettare che la cittadella allenti le difese ed apra le porte. Non si può rimanere insensibili a questo degrado. E la reazione non deve nascere per conato giustizialista, di reazione all’iniziativa di un magistrato. Dovrebbe nascere, ed essere urlata, perché questo metodo di selezione della classe dirigente non risponde alle esigenze del paese; perché distrugge il capitale umano della nazione, affidando la gestione di gangli vitali per il paese (più di quelli per la produzione del vaccino autarchica, perché così si sarebbe detto un tempo) a persone delle quali sono incerta la capacità e certe la tara reputazionale e conseguentemente la scarsa autorevolezza; perché, distruggendo il capitale umano dell’oggi, pregiudica la possibilità che se ne generi di buono, o almeno di migliore, nel futuro. È anzi un paradosso che l’azione moralizzatrice di alcuni ambiti si possa pensare di affidarla, nell’inerzia della politica, alla magistratura, i cui vertici sono stati colpiti da vicende analoghe.
Bisognerebbe, invece, chiedersi e discutere pubblicamente se la selezione per concorso abbia ancora un senso e non sia più ragionevole sostituirla con forme di cooptazione, che importino severi controlli di responsabilità per il cooptante e rischio di esclusione successiva per il cooptato.

Che gli avvocati siano poveri, soprattutto se sono giovani, meridionali e donne, non è un problema solo di quegli avvocati. Vuol dire, senz’altro, che il nostro sistema giustizia è zoppo. Non c’è e non ci può essere giustizia in un Paese in cui tutti gli avvocati non siano in grado di garantire – attraverso la loro autonomia e la loro dignità economica – l’indipendenza di giudizio, l’approfondimento e l’aggiornamento culturale, la schiena dritta che sono indispensabili per esercitare una professione che (lezione dimenticata dei costituenti) può costituire l’unico efficace contro-potere attivo (e non di difesa, come sarebbe invece l’immunità parlamentare) al potere giudiziario.
Che gli avvocati poveri siano donne e giovani vuol dire, poi, che viviamo in un paese diseguale, che non intende porre rimedio agli scempi sociali che ha perpetrato, spesso in nome di finti progressismi; soprattutto, che viviamo in un paese che non ha strumenti per reagire in futuro alla sua situazione, perché sta tarpando le ali, svilendo, umiliando chi dovrebbe costituire il serbatoio di intelligenza e progettualità per il futuro.
Che ci siano anche avvocati poveri, infine, vuol dire che il paese è afflitto da una piaga verminosa e inguaribile: schiere di laureati che non riescono a ottenere remunerazione, né a trovare una adeguata collocazione sociale. È uno spreco enorme di risorse umane; è la prova provata che sono rimasti mal investiti gli enormi importi spesi per la loro educazione; è la prova che si è avviata una selezione viziosa, che fa rimanere nel paese chi, per mille ragioni, anche non imputabili a lui, comunque non sa e non riesce a trarre frutto della ricchezza più alta di cui una persona può disporre: la competenza. Bisognerebbe allora cominciare a chiedersi, secondo me addirittura urlando e piangendo, come i cori delle tragedie greche, che s’ha da fare, per invertire questa rotta.

Perché Draghi da solo; Draghi con Franco, Cartabia, Colao, Giovannini; Draghi in silenzio; non bastano.

Ma c’è Achille Lauro che canta con Fiorello.
Travaglio in gramaglie.
Renzi che monologa.
Bettini che fa gli schemi del sudoko.
Elettroencefalogramma piatto.

Anche la maturità del 2021 sarà condizionata della pandemia come è già successo in Italia lo scorso anno. Il ministro dell’Istruzione Bianchi, di fatto, conferma l’impianto della prova formulato dal precedente governo con Lucia Azzolina: niente prove scritte, ma un colloquio orale che partirà dalla discussione di un elaborato, il cui argomento sarà assegnato agli studenti dal Consiglio di classe entro il 30 aprile. Il neoministro dell’Istruzione, il 4 marzo, ha apposto la sua firma sulle ordinanze che regolano lo svolgimento degli esami di Stato.

TEMPI E CONTENUTI – Il 16 Giugno 2021 è la data stabilita per l’inizio degli esami delle secondarie (medie) e superiori. Per quanto riguarda l’elaborato, gli studenti dovranno consegnarlo entro e non oltre il 31 Maggio: poco più di un mese per preparare un documento sul quale si discuterà all’esame. Una volta la chiamavano “tesina” – ovvero – sugli argomenti trattati durante l’anno scolastico, le esperienze trasversali e le competenze personali di ciascun candidato.

LA PROVA VERA E PROPRIA – Un colloquio che parte con la descrizione e le motivazioni sulla scelta e temi dell’elaborato – e continua – con la discussione di un testo di letteratura italiana, un’esperienza, un problema, un progetto e esposizione dell’esperienze personali.

IL VOTO – Espresso in centesimi – con possibilità di lode – è così distribuito:

60 punti in base al rendimento degli ultimi 3 anni: 18 punti per la classe terza, 20 per la classe quarta e 22 per la classe quinta. La prova orale vale 40 punti.

IL PERSONAGGIO – Originaria di Lucca è una direttrice d’orchestra di fama internazionale. Amadeus l’ha voluta in veste di ospite per la quarta serata del festival di Sanremo prevista per venerdì 5 Marzo quando sarà proclamato il vincitore della sezione Nuove Proposte. Un ritorno dato che ha fatto parte della giuria di AMASanremo. La direttrice è stata inserita tra i 100 leader Under 30 del futuro da Forbes. Beatrice Venezi salirà sul palco dell’Ariston proprio il giorno del suo compleanno, classe 1990, inizia a suonare sin da giovanissima e si approccia alla musica classica. Si diploma con il massimo dei voti in direzione d’orchestra al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Il primo successo di fronte al pubblico arriva in occasione del famosissimo Lucca Summer Festival nel 2018. Dopo quell’evento viene nominata direttrice principale della Nuova Scarlatti di Napoli e dell’orchestra Milano Classica. In poco tempo la carriera di Beatrice Venezi inizia a decollare con incarichi prestigiosi nei teatri più importanti di tutto il mondo.

LA MUSICA – L’artista toscana ama la musica classica ma è particolarmente attirata dalla musica elettronica fusa a grandi classici. Nel 2019, per Warner Music, ha pubblicato l’album ‘MY JOURNEY – Puccini’s Symphonic Works’; per la casa editrice UTET. E’ anche autrice di due libri: “Allegro con fuoco. Innamorarsi della musica classica” – edito nel 2019 – e “Le sorelle di Mozart. Storie di interpreti dimenticate, compositrici geniali e musiciste ribelli” del 2020.

Estremamente preoccupante il dato registrato dall’Istat, il peggiore da 15 anni: sono 335.000 in più le famiglie in povertà assoluta nel 2020, per un totale di 2 milioni, di cui 1 milione di poveri in più rispetto al 2019.

COSA HA PORTATO A TUTTO CIO’ – Sono numeri che fanno tremare il nostro Paese, mettendolo di fronte ad una problematica sempre più seria ed importante, quella della povertà, fenomeno ahimé in crescita inarrestabile. Un fenomeno esistente da sempre, ma nettamente peggiorato dalla pandemia Covid. Infatti, nonostante non abbiamo lavorato poi così male o peggio di altri stati nella tutela della salute dei cittadini contro questa malattia, a differenza loro non siamo riusciti a tutelare meglio gli imprenditori, i lavoratori e gli studenti. Forse è mancato un equilibrio fra il diritto alla salute e tutti gli altri, come il diritto alla libertà, al lavoro, all’impresa, alla scuola, allo sport e tanti altri. Sembra che il primo sia stato posto al di sopra di ogni altro diritto, e che la priorità sia stata data alla tutela della parte anziana e più fragile del Paese, a discapito delle difficoltà di tutti gli altri. Lo dimostrano anche l’aumento del tasso di suicidi e di utilizzo di sostanze stupefacenti, non solo tra i giovani ma anche tra gli imprenditori falliti e i disoccupati, le cui cause possono attribuirsi alla depressione scaturita dall’incertezza sul futuro, e non solo dalla paura del contagio.quindi forse bisognava porre più attenzione alle priorità dell’intero Paese.

Benvenuto sul sito web di KorosMagazine.it! Un primo articolo di presentazione è obbligatorio e necessario per spiegare il progetto e la finalità di questo Magazine.

KOROS APS – Associazione nata nel 2019 che si occupa di marginalità e progetti sociali. Nel 2020 ha presentato un progetto “Informatica e Giornalismo 2.0” alla Fondazione Marchi con lo scopo di promuove la cultura, il giornalismo e l’informatica tra i giovani. In un mondo in cui si comunica con 140 caratteri, immagini e pagine social è importante far capire alle nuove generazioni l’importanza dell’informazione vera, seria e consapevole.

FONDAZIONE MARCHI – La Fondazione Carlo Marchi nasce nel 1983 per volontà testamentaria del Dott. Cesare Marchi che la dota di importanti mezzi finanziari e della sede, con le opere d’arte che accoglieva cui aggiunge quelle appartenenti alla sua collezione personale. Ne stabilisce il nome intitolandola a suo padre Carlo, fratello di Giulio. Lo scopo della Fondazione è “diffondere la cultura ed il civismo in Italia” e al migliore compimento di questa volontà tutti i presidenti ed i consiglieri di amministrazione che si sono succeduti, hanno dedicato le proprie attenzioni, adoperandosi perché il fine statutario fosse raggiunto.

IL PROGETTO – Il progetto ha 3 obiettivi principali:

  1. L’insegnamento dell’informatica professionale per pubblicare e gestire informazioni di natura culturale, sportiva e multimediale;
  2. Sensibilizzare i giovani all’idea che la lettura e la scrittura siano un fondamentale diritto civile e umano alla cultura, all’informazione, alla conoscenza e come strumento di crescita e di emancipazione civile e sociale;
  3. Saper riconoscere una notizia vera da una fake news.

Attraverso la collaborazione tra professionisti, professori universitari e giornalisti sarà possibile realizzare questo progetto sociale. L’Associazione Koros – grazie alle collaborazioni sul territorio dell’area metropolitana di Firenze – svilupperà ulteriormente questo progetto e ne darà continuità.

COVID – 19 Il problema della pandemia è ormai noto a tutti e la scoperta di nuove varianti sta complicando e rallentando la ripresa sociale. La KOROS APS ha deciso di informatizzare tutto il processo delle lezioni, pertanto, saranno effettuate le registrazioni e la messa on-line dei montaggi video che serviranno da guida pubblica a chiunque ne voglia usufruire.

Questa mattina l’ex Governatore della BCE ha tenuto il suo discorso al Senato, illustrando a livello generale tutte le sue iniziative.

RIPRESA E RESILIENZA DAL COVID – Dopo una premessa sull’importanza di valori come l’unità, la fratellanza, la responsabilità, che la maggioranza dovrà tenere per affrontare tutte le difficoltà di questo periodo, il professor Mario Draghi si è soffermato sulla ricostruzione del Paese, paragonando le “macerie” lasciate dalla pandemia Covid a quelle del dopoguerra. Dopodichè ha speso parole sulla scuola, e in particolare sulla Dad che, nonostante abbia garantito continuità al servizio scolastico, non è efficiente quanto la scuola in presenza, obiettivo sul quale concentrarsi insieme all’investimento sulla formazione della classe docente, puntando all’allineamento tra l’offerta educativa e la domanda delle nuove generazioni. Collegato sempre al Covid un breve passaggio anche sul piano di vaccinazione, con parole chiave come “Rapidità” ed “efficienza”, e sul Recovery plan, dove il grande lavoro del Governo uscente sarà approfondito e completato, con il miglioramento delle bozze già presenti. Draghi ci ha tenuto anche a specificare che, inerentemente al fisco le tasse non aumenteranno, e le relative questioni delle riforme verranno affidate a degli esperti in materia.

PROPOSTE E IDEE – Tante e diverse le tematiche trattate. Molto cara quella della politica estera da adottare; il premier ha parlato di “irreversibilità della scelta dell’euro” schierando questo governo come “governo europeista e atlantista”, rimarcando la volontà di rafforzare i rapporti con Francia, Germania, ma anche con gli USA, e impegnandosi ad alimentare il dialogo con la Russia sulla tutela dei diritti umani dei cittadini, spesso violati. Seguono uno dei tasti dolenti per tutti gli stati del mondo, la tematica dell’ambiente che necessita di un approccio nuovo più forte,  e un punto in cui si evince un cambio di rotta rispetto al governo precedente: il lavoro. In merito Draghi ha preannunciato, oltre alla protezione di tutti i lavoratori, un cambio radicale di alcune attività economiche, adottando politiche monetarie e fiscali espansive. Nella tematica del lavoro, un’occhio in più è puntato sulle donne e il gap tra i generi; il professore, riconoscendo le donne purtroppo in costante conflitto tra famiglia e vita professionale, ha invitato anche gli uomini a dedicarsi alle faccende familiari e alla crescita dei figli, mansioni che ha definito senza sesso ma piene di onore. Successivamente vengono toccati temi come il turismo, che vivrà se saremo in grado di preservare città d’arte, luoghi e tradizioni, e le infrastrutture, la pubblica amministrazione e anche la giustizia, dove ha in mente di investire molto, puntando sulla competenza dei dipendenti pubblici, attuando vere e proprie riforme. Per concludere Draghi ha messo in chiaro la situazione migranti, impegnandosi sia nel negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, sia nelle discussioni con l’Europa per una condivisa politica sui rimpatri.

I dati Istat rivelano numeri sconfortanti: sono 444.000 i disoccupati a dicembre.

EFFETTI DISASTROSI – E’ inutile nascondere che la pandemia Covid ha causato senza dubbio una grave crisi economica. Uno degli effetti disastrosi di quest’ultima è inerente la situazione lavorativa degli italiani: sono nettamente in crescita i disoccupati, non solo fra i lavoratori dipendenti, ma anche fra i liberi professionisti. Tante le criticità dei provvedimenti, a questo punto inefficaci, presi dal Governo. Le chiusure a cui sono stati sottoposti gli autonomi sono state ferree, e molte imprese sono fallite perchè, a fronte di ristori ridicoli, erano comunque obbligate a pagare le tasse in un periodo in cui il loro fatturato era inesistente. A questo si aggiungono la cassa integrazione che non durava abbastanza e l’impossibilità al licenziamento; fattori questi ultimi che, seppur potevano sembrare a favore dei lavoratori, nel concreto hanno svantaggiato gli imprenditori. Tutto ciò, come un cane che si morde la coda, ha portato appunto all’aumento delle persone senza lavoro.